Ti alzi con fatica, ogni gesto è una sfida, ma chi ti guarda dall’esterno spesso non se ne accorge. Eppure, quella che molti chiamano “semplice usura” ha un nome preciso: artrosi.
Quando il dolore non dà tregua e ti limita nella vita di tutti i giorni, potrebbe esserci una strada per ricevere finalmente il riconoscimento che meriti. Anche se nessuno te lo ha mai detto chiaramente, lo Stato prevede dei diritti per chi vive in questa condizione. Basta sapere dove guardare.

L’artrosi è una malattia silenziosa, spesso sottovalutata, che colpisce le articolazioni e rende faticoso anche ciò che una volta era automatico. Non è solo una questione di età: ci sono giovani che ne soffrono a causa di sforzi continui, lavori pesanti o predisposizione genetica. E quando il dolore è costante, ogni movimento diventa un ostacolo. In questi casi, non si parla più solo di salute, ma anche di diritti.
Molti non sanno che è possibile ottenere il riconoscimento di invalidità civile per artrosi, ma serve dimostrare quanto questa patologia limiti davvero la propria autonomia o capacità lavorativa. Non è sufficiente una diagnosi: la commissione medica dell’INPS valuta quanto la malattia incida concretamente sulla vita della persona. Se il limite funzionale è grave e permanente, la domanda può essere accolta.
Invalidità per artrosi: cosa dice davvero la legge
Per legge, l’invalidità civile si riconosce a chi ha una riduzione permanente della capacità lavorativa (tra i 18 e i 67 anni) o dell’autonomia personale (se fuori da questa fascia d’età). L’artrosi, pur non essendo indicata in modo specifico nelle tabelle ministeriali, può comunque rientrare tra le patologie invalidanti se severa e documentata.

Le percentuali di invalidità partono dal 34%, ma per ricevere un assegno mensile bisogna arrivare almeno al 74%, mentre la pensione di inabilità è prevista solo con il 100%. Serve una documentazione clinica completa e aggiornata: visite specialistiche, terapie seguite, esami recenti. Più si dimostra il peggioramento delle condizioni fisiche, più si rafforza la richiesta.
Il primo passo è andare dal medico di famiglia per ottenere il certificato introduttivo. Dopo l’invio telematico della domanda all’INPS, verrà fissata una visita. Se il risultato non è soddisfacente, c’è un’opportunità da non perdere.
Quando il ricorso è l’unica strada
Può capitare che la commissione non riconosca l’invalidità o assegni una percentuale troppo bassa. In questi casi, è possibile fare ricorso in tribunale entro sei mesi. Il giudice nomina un consulente tecnico d’ufficio (CTU), un medico legale che rivedrà la situazione. È fondamentale presentare documenti aggiornati e farsi assistere da un avvocato esperto.
Se anche la perizia è sfavorevole, si può contestarla entro trenta giorni e chiedere una nuova valutazione. Ogni passaggio va seguito con attenzione, ma non è una battaglia inutile: si tratta di ottenere un riconoscimento concreto, di essere finalmente visti e ascoltati.