Età pensionabile e pensioni: due aspetti della riforma Meloni che potrebbero abbassare l’assegno mensile INPS

Bloccare l’aumento dell’età pensionabile sembra una buona notizia. Ma dietro questa scelta si nascondono conseguenze che potrebbero colpire duramente le pensioni future. Tra meccanismi automatici e decisioni politiche, la riforma in discussione rischia di produrre un effetto imprevisto: un assegno mensile più basso per chi lascia il lavoro dal 2027 in poi. Ecco cosa sta realmente accadendo al sistema previdenziale italiano.

Nel dibattito attuale sulle pensioni, ci sono due elementi che stanno generando preoccupazione e confusione: il possibile blocco dell’aumento dell’età pensionabile previsto per il 2027 e la contemporanea revisione dei parametri che determinano l’importo dell’assegno INPS. Entrambe le misure fanno parte della strategia del governo Meloni per intervenire sul sistema pensionistico, ma gli effetti combinati potrebbero non essere quelli sperati.

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La proposta di tenere l’età pensionabile ferma a 67 anni è pensata per proteggere i lavoratori dall’allungamento automatico dei requisiti legati all’aspettativa di vita. Tuttavia, anche se non si dovrà lavorare tre mesi in più, la pensione potrebbe risultare più leggera. Questo perché esistono regole tecniche già fissate, indipendenti dalle scelte del governo, che influenzano direttamente il valore dell’assegno. Il 2027 è un anno chiave in questo senso: l’INPS aggiornerà i coefficienti di trasformazione del sistema contributivo, rendendoli meno favorevoli rispetto al passato.

Il blocco dell’età pensionabile: tutela apparente o rischio reale?

Secondo la legge italiana, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia può aumentare ogni due anni, in base all’andamento dell’aspettativa di vita. Nel 2027 era previsto un adeguamento di tre mesi, che porterebbe l’età pensionabile da 67 a 67 anni e 3 mesi. Il governo Meloni intende evitare questo aumento, presentando il blocco come un gesto a favore dei lavoratori. Ma la realtà è meno semplice.

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Il blocco dell’età pensionabile: tutela apparente o rischio reale?-crypto.it

Mantenere invariati i requisiti anagrafici potrebbe essere solo un vantaggio apparente. Il vero problema si nasconde nel modo in cui viene calcolato l’assegno mensile INPS. Questo dipende non solo dal numero di contributi versati e dall’età al momento del pensionamento, ma anche dai coefficienti di trasformazione, che l’INPS aggiorna periodicamente per tenere conto della maggiore longevità della popolazione.

Nel 2025, un caso simile ha già prodotto effetti concreti: anche senza variazioni nei requisiti per la pensione, l’importo degli assegni è diminuito. E lo stesso accadrà nel 2027. Chi andrà in pensione in quell’anno prenderà meno rispetto a chi l’ha fatto nel biennio precedente, anche se ha versato gli stessi contributi. Questo perché i coefficienti saranno meno favorevoli, dato che le persone vivono più a lungo e le pensioni devono coprire un numero maggiore di anni.

Riforma pensionistica e importo degli assegni: cosa cambia davvero dal 2027

La parte meno visibile della riforma Meloni riguarda proprio l’importo futuro degli assegni. Anche se il governo dovesse riuscire a mantenere fermi i requisiti di età, non potrà fermare il meccanismo di aggiornamento dei coefficienti. È un processo automatico, stabilito dalla legge, che ha lo scopo di mantenere l’equilibrio del sistema. In pratica, si spalmano gli stessi contributi su un numero maggiore di anni, e il risultato è una pensione più bassa.

Chi ha iniziato a lavorare tardi, o ha avuto carriere discontinue, sarà il più penalizzato. Anche chi ha una lunga storia contributiva vedrà diminuire il valore finale dell’assegno. Questo effetto, sommato al blocco dell’età, crea un quadro critico: si va in pensione prima, ma si prende meno. E il problema non si fermerà al 2027.

Le stime dell’ISTAT indicano che nel 2029 ci sarà un nuovo scatto, con altri due mesi in più per la pensione di vecchiaia, seguito da un ulteriore incremento nel 2031. Anche i coefficienti continueranno ad aggiornarsi ogni due anni, peggiorando ulteriormente la situazione. A conti fatti, il sistema si sta trasformando in un equilibrio instabile, in cui ogni vantaggio apparente viene compensato da un taglio silenzioso ma efficace.

Per questo il dibattito non dovrebbe limitarsi alla sola età pensionabile. L’attenzione dovrebbe spostarsi su come garantire una pensione dignitosa in un contesto demografico e finanziario in continuo cambiamento. L’impressione è che si stiano gestendo le emergenze immediate, senza una visione complessiva del futuro. E chi lavora oggi, domani potrebbe ritrovarsi con molto meno di quanto si aspetti.

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