Ogni volta che si arriva al distributore, la scena si ripete: i prezzi restano alti anche quando il petrolio cala. Un pieno che nel 2020 costava meno di 70 euro oggi ne richiede quasi 87. Eppure, nei mercati internazionali il costo del greggio è sceso.
In Italia, però, la riduzione non arriva mai del tutto a chi fa rifornimento.
Una parte importante del problema sta nelle imposte, spesso dimenticate ma sempre presenti. Le accise, nate per affrontare emergenze temporanee, sono diventate strutturali. E a ogni pieno, più della metà dell’importo finisce allo Stato. Mentre altri Paesi europei riducono le tasse sui carburanti in tempi di crisi, l’Italia continua a incassare. E chi guida ogni giorno paga due volte: una per muoversi, l’altra per sostenere un sistema che non cambia Vale la pena capire cosa compone davvero il prezzo alla pompa.

Oggi il tema dei prezzi benzina e gasolio non riguarda solo le vacanze estive. È un problema che colpisce lavoratori, studenti, famiglie e imprese tutto l’anno.
Secondo i dati del MASE, ad agosto 2025 la benzina costa in media 1,70 euro/litro e il diesel 1,64. Nel 2020, invece, i valori erano rispettivamente 1,39 e 1,28 euro. Un pieno da 50 litri di gasolio oggi costa oltre 17 euro in più. Eppure, nello stesso periodo, il prezzo del petrolio è calato del 16%. Alla pompa, però, la discesa è stata appena del 2%.
Il motivo principale sta nelle accise, imposte fisse che non seguono l’andamento del mercato. Molte di queste tasse risalgono a eventi storici, come il terremoto dell’Irpinia o la guerra in Etiopia. Eppure sono ancora oggi parte integrante del prezzo finale.
A queste si aggiunge l’IVA, che si applica anche sulle accise stesse. Il risultato? Una tassa sulla tassa, che incide pesantemente su ogni litro acquistato.
Il Codacons calcola che oltre il 50% del costo alla pompa è composto da imposte. E senza un intervento su questo fronte, ogni riduzione del greggio resterà invisibile per i cittadini.
Perché il pieno costa sempre troppo: le accise che restano anche quando l’emergenza è finita
Le accise sui carburanti in Italia non sono un mistero, ma una realtà consolidata. Alcune furono introdotte quasi un secolo fa per finanziare spese straordinarie. Il problema è che nessuno le ha mai rimosse.
Nel tempo si sono sommate, fino a pesare stabilmente sul prezzo del carburante. E non si tratta di importi marginali.
In media, su un pieno da 50 litri, circa 35 euro vanno allo Stato. Una situazione che non cambia neanche in momenti di crisi economica o energetica.

Molti Paesi europei hanno sospeso o ridotto temporaneamente le accise. In Spagna e Germania, ad esempio, le imposte sono state tagliate per aiutare famiglie e imprese. In Italia si è scelto invece di lasciare tutto invariato.
Così chi lavora con l’auto o viaggia per necessità si trova con un costo fisso e sempre alto. E anche le imprese, specie nei trasporti, pagano una concorrenza fiscale che penalizza il sistema italiano.
La mancanza di flessibilità fiscale su benzina e diesel ha un impatto concreto. Fa salire i prezzi dei beni trasportati e frena la ripresa.
L’Italia tra i Paesi più cari d’Europa per carburante: un divario che non si chiude
La Commissione europea rileva che l’Italia è tra i Paesi più costosi per benzina e gasolio. Nel confronto con la media UE, i nostri listini superano del 6% quelli per la benzina e del 7% per il diesel.
Questo significa che chi vive vicino al confine spesso sceglie di rifornirsi all’estero. In Slovenia o Francia un pieno può costare fino a 8 euro in meno. Non per via del petrolio, ma per la pressione fiscale decisamente inferiore.
Una differenza che pesa non solo sul portafoglio del singolo, ma sull’intero sistema economico italiano. Le aziende italiane pagano carburante più caro rispetto ai concorrenti stranieri. E questo si riflette sui costi di trasporto, sui prezzi finali e sulla competitività del made in Italy.
Il dibattito sulle accise va avanti da anni, ma senza soluzioni concrete. Finché non verrà affrontato con serietà, ogni calo del petrolio sarà solo un’illusione per chi guida.