Molti pensano che lavorare meno significhi perdere diritti. Ma cosa succede davvero quando si entra in cassa integrazione con orario ridotto? Una recente sentenza ha acceso i riflettori su un punto tanto discusso quanto sottovalutato. Una decisione che non solo ristabilisce giustizia, ma rischia di cambiare le carte in tavola per aziende e lavoratori.
C’è chi ci ha creduto fino in fondo, chi si è sentito escluso, e chi ora vede finalmente riconosciuti mesi, o addirittura anni, di attese e silenzi. Non è solo una questione di regole, ma di dignità sul posto di lavoro.

In tempi di crisi, ci si abitua a fare sacrifici. La riduzione dell’orario sembra quasi inevitabile, un compromesso accettato con rassegnazione pur di conservare il posto. Ma dietro ogni ora non lavorata, resta una domanda sospesa: quei giorni “a metà” contano ancora qualcosa? Nel caso dei lavoratori di una nota azienda metalmeccanica marchigiana, la risposta è arrivata con una chiarezza disarmante.
Dopo mesi di incertezza, il Tribunale di Ascoli Piceno, con la sentenza n. 351/2024, ha messo nero su bianco un principio destinato a fare scuola. Anche in cassa integrazione ordinaria a orario ridotto, i dipendenti hanno diritto a ferie e permessi retribuiti, maturati per intero. Non una concessione, ma un diritto pieno, sostenuto da leggi, contratti collettivi e persino da vecchie sentenze della Cassazione. Una decisione che, seppur nata in una piccola aula di tribunale, potrebbe avere effetti ben più vasti.
Riduzione oraria e ferie maturate: perché il giudice ha dato ragione ai lavoratori
Il caso era apparentemente semplice: alcuni dipendenti, affiancati da un sindacato, chiedevano il riconoscimento dei permessi e delle ferie maturati durante un periodo di cassa integrazione parziale legata alla pandemia. L’azienda, invece, aveva deciso di calcolare i giorni spettanti solo in base alle ore effettivamente lavorate. Una scelta che i legali hanno definito discriminatoria e lesiva della salute psicofisica dei lavoratori.

Il giudice, però, ha ribaltato l’impostazione dell’azienda, evidenziando che il contratto dei Metalmeccanici stabilisce con chiarezza che chi lavora almeno 15 giorni in un mese matura ferie e permessi sull’intero periodo. E dato che la cassa integrazione in questione non era a zero ore ma prevedeva solo riduzioni parziali, il diritto non poteva essere intaccato.
Un punto chiave è stato anche il richiamo a una sentenza della Cassazione del 1986, che già allora stabiliva che la riduzione dell’orario lavorativo non giustifica una decurtazione automatica dei diritti. Le ferie, infatti, non si “guadagnano” solo con il tempo fisico in azienda, ma rappresentano una componente strutturale del contratto di lavoro.
Una decisione che cambia le regole del gioco per imprese e lavoratori in crisi
Quello che all’inizio sembrava un caso isolato, ora potrebbe diventare un riferimento per molte altre realtà. Le implicazioni della sentenza vanno oltre il singolo contenzioso: si parla di tutele contrattuali, di equilibrio tra prestazione e compensazione, e di un modello più equo per gestire le situazioni di emergenza economica.
Il riconoscimento dei diritti anche nei momenti di inattività parziale lancia un messaggio forte: il lavoro non si misura solo in ore, ma in presenza, disponibilità e continuità del rapporto. Un monito per le aziende, certo, ma anche una nuova consapevolezza per i dipendenti, spesso lasciati in secondo piano nei processi di ristrutturazione.
La soddisfazione espressa dalla Fiom Cgil e dai lavoratori coinvolti è solo l’inizio. La vera sfida sarà ora estendere questa visione ad altri settori e far sì che simili decisioni non restino casi isolati, ma si trasformino in una prassi condivisa.