Il curriculum era perfetto, ma l’hanno esclusa lo stesso dal concorso. Potrebbe accadere anche a te

Una firma dimenticata può davvero cancellare un’intera carriera? Quanto può pesare un dettaglio tanto piccolo in una selezione pubblica? C’è un caso che ha riaperto un dibattito importante e acceso sul valore della forma nelle procedure concorsuali. Una vicenda che dimostra come, a volte, anche ciò che sembra insignificante possa avere conseguenze enormi. E tutto ruota attorno a un curriculum, un bando e una firma mancante.

La protagonista di questa storia aveva tutto in regola. Titoli richiesti, esperienza, nessuna causa di incompatibilità. Eppure, è stata esclusa da un concorso interno per diventare case manager in un’Azienda sanitaria. Il motivo? La firma assente sul curriculum allegato alla domanda.

Persona che legge il suo curriculum
Il curriculum era perfetto, ma l’hanno esclusa lo stesso dal concorso. Potrebbe accadere anche a te-crypto.it

Un dettaglio che l’ha esclusa dalla graduatoria, portandola a fare ricorso. La questione, ora nelle mani del giudice, ha sollevato domande cruciali sull’interpretazione delle regole nei concorsi pubblici. Il caso non è isolato e fa emergere un interrogativo scomodo: ha senso penalizzare in modo così drastico un errore che non altera la sostanza di una candidatura?

Firma sul curriculum: formalità o responsabilità legale?

Nel mondo dei concorsi pubblici, la firma sul curriculum vitae non è solo un tratto di penna. È una dichiarazione di veridicità, un’assunzione di responsabilità sulle informazioni fornite. Senza di essa, il documento risulta incompleto, e per molte amministrazioni equivale a un’autocertificazione nulla. Ma è proprio su questo punto che si giocano interpretazioni diverse.

Persona esclusa da un concorso
Firma sul curriculum: formalità o responsabilità legale?-crypto.it

Nel 2018, il TAR della Campania (sentenza n. 4511) ha stabilito che se l’errore formale non incide sulla sostanza della candidatura, non dovrebbe essere motivo sufficiente per l’esclusione. Un principio rafforzato dal “favor partecipationis”, orientamento europeo che privilegia la partecipazione dei candidati. Secondo questo principio, l’amministrazione può esercitare una certa discrezionalità, ma sempre tenendo conto della proporzionalità e del reale impatto dell’errore.

Eppure, nei fatti, spesso non c’è spazio per il buon senso. Un curriculum perfetto, se privo di firma, viene trattato come fosse del tutto inaffidabile. Il rischio è che si trasformi una dimenticanza rimediabile in una condanna ingiusta. È ciò che potrebbe succedere alla candidata esclusa, se il giudice non dovesse riconoscere il diritto alla correzione dell’irregolarità.

Evitarlo è semplice, ma il prezzo dell’errore è alto

Evitare questa situazione è possibile. Ma serve attenzione. Prima dell’invio della domanda, ogni documento va controllato con cura. Se la procedura è digitale, la firma elettronica deve essere apposta correttamente. Se il formato è cartaceo, non bisogna dimenticare la firma manuale in fondo al CV. E se qualcosa non è chiaro nel bando, contattare l’ente organizzatore è la scelta più prudente.

Il vero problema, però, non è solo tecnico. È culturale. Si tende a dare più peso alla forma che alla sostanza, alla correttezza formale piuttosto che al valore reale del candidato. Questo approccio può trasformare una firma dimenticata in una barriera insormontabile, che penalizza chi ha tutte le carte in regola.

Alla fine, resta una domanda: davvero una firma può valere più di tutto il resto? Se la giustizia amministrativa deciderà in favore della candidata, forse si aprirà uno spiraglio per un’interpretazione più umana e razionale delle regole. Ma fino ad allora, ogni firma dimenticata continuerà a essere un rischio che nessuno può permettersi di correre.

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