È solo una sequenza di numeri e lettere, ma potrebbe dire più di quanto sembri. Il codice IBAN è ovunque: nei bonifici, negli stipendi, nelle bollette. Ma quanto si sa davvero su di lui? Qualcuno teme che rivelarlo significhi esporsi a rischi, altri lo condividono con leggerezza.
È possibile risalire all’identità del titolare partendo solo da quelle 27 cifre? E cosa può fare davvero chi ne entra in possesso? Dietro l’uso quotidiano di questo codice si nascondono più domande che risposte. E non tutte sono scontate.

Ci sono aspetti della vita bancaria che passano inosservati finché non diventano un problema. Il codice IBAN, per esempio. Lo si usa per ricevere o inviare denaro, ma in pochi si soffermano a capire davvero cosa contiene. La sua presenza è data per acquisita, come fosse una semplice formalità. E invece, ogni volta che lo si comunica, si stanno rivelando alcune informazioni fondamentali. Quali? Non tutte quelle che si immagina, ma nemmeno così poche da essere ignorate con leggerezza.
Molti si chiedono se sia possibile risalire al titolare del conto tramite l’IBAN. È una domanda legittima. Quella lunga sequenza serve a identificare un conto in modo preciso, ma non sempre dice tutto su chi lo possiede. In Italia, il codice IBAN è composto da 27 caratteri alfanumerici: le prime due lettere indicano il Paese, le cifre successive identificano banca e filiale, mentre le ultime dodici corrispondono al numero di conto. Non contengono però direttamente il nome del titolare. Questo rimane riservato, almeno finché non si verificano particolari situazioni.
Quando il codice IBAN può diventare rivelatore
Un esempio concreto? Quando un bonifico viene inviato all’IBAN sbagliato, la banca ha il dovere di collaborare. Una recente ordinanza della Cassazione n. 17415, depositata il 25 giugno 2024, ha stabilito che l’istituto deve aiutare il mittente a recuperare i soldi, fornendo l’identità di chi ha ricevuto il denaro per errore. Questo però avviene solo su richiesta specifica e in un contesto giuridico chiaro. Non è un’informazione a cui si può accedere liberamente.

Il punto che spesso genera confusione riguarda i rischi legati alla conoscenza dell’IBAN. C’è chi teme che basti conoscerlo per compiere operazioni illecite. Fortunatamente, non è così. Avere un IBAN consente solo di effettuare versamenti, mai prelievi. Per sottrarre denaro servirebbero credenziali di accesso, autorizzazioni e altri dati personali. Quando si verificano frodi bancarie, nella maggior parte dei casi sono il risultato di attacchi informatici o furti d’identità, non di una semplice condivisione dell’IBAN.
Tutto questo porta a riflettere su come si usano i propri dati bancari. L’IBAN non è un segreto da custodire gelosamente, ma nemmeno qualcosa da distribuire con leggerezza. È uno strumento utile, che facilita le transazioni e rende più sicure le operazioni bancarie. Ma, come tutti gli strumenti, merita di essere compreso. Forse non svelerà mai il nome del titolare, ma può comunque raccontare una parte della sua storia. Quella bancaria, almeno.