Sempre più pensionati decidono di trasferirsi all’estero per motivi fiscali, convinti di guadagnare di più con la stessa pensione. Ma qualcosa sta cambiando. Cosa succede se il Fisco italiano non ti considera davvero “all’estero”? E chi lavora in smart working può davvero evitare le tasse italiane? La verità non è così scontata come sembra. Meglio sapere tutto prima di fare il grande salto.
C’è chi sogna una vita più tranquilla in riva al mare, chi cerca un luogo dove il costo della vita sia più basso, e chi semplicemente vuole sfuggire al peso di una tassazione che, in Italia, sembra spesso opprimente, anche se molti dicono che oggi stia davvero cambiando. Per molti pensionati, trasferirsi all’estero è sembrata la soluzione perfetta: con la stessa pensione si vive meglio, si spende meno e si ha la sensazione di avere finalmente un po’ di respiro.

Negli ultimi anni, infatti, centinaia di italiani hanno scelto mete come il Portogallo, la Spagna, la Grecia, o i Paesi dell’Est, attratti anche da regimi fiscali più leggeri. Ma questa tendenza si sta lentamente modificando. L’Agenzia delle Entrate ha iniziato a guardare con maggior attenzione ai casi di chi cambia residenza, verificando se si tratti di un vero trasferimento o solo di un’operazione di convenienza. Perché c’è una linea sottile tra legalità e irregolarità, e non basta cambiare indirizzo per sfuggire alle tasse italiane.
Quando si è davvero residenti all’estero?
Molti credono che basti iscriversi all’AIRE o prendere una casa fuori dall’Italia per non dover più versare le imposte al nostro Stato. Ma la residenza fiscale non si misura solo in termini burocratici: conta dove si vive davvero, per la maggior parte dell’anno, e quali sono i legami affettivi, familiari e sociali mantenuti in Italia. Se per oltre 183 giorni, cioè più della metà dell’anno, si risiede effettivamente in Italia o si mantengono qui interessi e relazioni personali, allora si è considerati fiscalmente residenti in Italia.

E non si tratta solo di teoria. Il Fisco italiano ha tutti gli strumenti per verificare dove trascorri le tue giornate: dalle utenze domestiche, alle attività bancarie, dai movimenti telefonici ai social network. Se scopre che vivi in Italia ma ti dichiari residente altrove, può contestarti l’evasione e chiederti il pagamento delle imposte non versate, oltre a multe salate.
Anche se sei formalmente iscritto all’AIRE, l’iscrizione non è sufficiente da sola per escludere la residenza fiscale italiana. È solo un indizio, non una prova assoluta. Spetta al contribuente dimostrare di vivere davvero all’estero, con documenti come contratti di lavoro, bollette, dichiarazioni fiscali estere, affitti e certificati di residenza rilasciati da autorità locali.
Smart working e ditta individuale: attenzione alla permanenza
Chi lavora da remoto con una ditta individuale è spesso attratto dalla possibilità di gestire il proprio lavoro da un altro Paese, dove la tassazione è più conveniente. Ma qui le cose si complicano. Se sei presente in Italia per più di metà anno, anche senza residenza formale, l’Agenzia delle Entrate ti considera comunque residente dal punto di vista fiscale. E quindi dovrai pagare qui le tasse, indipendentemente da dove hai spostato la sede della tua attività.
Anche per le società, il discorso non cambia: se la direzione effettiva dell’impresa si trova in Italia, o se qui si prendono le decisioni principali, l’impresa è fiscalmente residente nel nostro Paese. Non importa dove hai registrato l’attività.
In altre parole, puoi anche lavorare al computer da una spiaggia in Spagna o in un appartamento a Praga, ma se torni in Italia per lunghi periodi, o se qui vivi con la tua famiglia, il rischio che il Fisco ti contesti la residenza italiana è molto alto. E con esso, il dovere di versare tutte le imposte dovute.
Quindi, prima di scegliere di cambiare vita, è fondamentale comprendere bene le regole e muoversi con trasparenza. Perché il confine tra risparmio fiscale e problema legale può essere più vicino di quanto pensi.