Il mining di Bitcoin dopo l’halving è diventato una vera corsa a ostacoli: da un lato costi energetici in aumento, dall’altro ricavi in calo. Non tutti i miner sono colpiti allo stesso modo: oggi, più che mai, il luogo in cui si mina fa la differenza tra restare in gioco o uscire dal mercato. Cosa accade quando la produzione si concentra in poche mani e aree geografiche?
Il recente halving di Bitcoin ha rimodellato le dinamiche di un settore già altamente competitivo. Il 19 aprile 2024, la ricompensa per blocco è passata da 6,25 a 3,125 BTC, dimezzando di fatto il reddito potenziale dei miner. Eppure, in questa transizione, non tutti sono stati colpiti allo stesso modo. Chi ha accesso a energia a basso costo riesce a restare operativo, mentre in paesi con tariffe più alte il mining rischia di diventare insostenibile.

Si parla sempre più spesso di “Bitcoin da 12.000 $” in alcune zone e “Bitcoin da 300.000 $” in altre, per indicare la divergenza nei costi di produzione. Ma cosa significa davvero e quali sono le conseguenze?
Dove mini conta più di quanto mini: il nuovo equilibrio globale
Secondo JPMorgan, ad agosto 2024 i ricavi medi giornalieri per exahash sono crollati a 43.600 $, il livello più basso mai registrato, rispetto ai 342.000 $ di novembre 2021. In paesi come l’Italia o la Germania, dove i costi elettrici sono elevati, il mining diventa antieconomico. Di conseguenza, molte operazioni stanno chiudendo o vendendo l’hardware. Al contrario, negli Stati Uniti — in particolare Texas, Georgia e Wyoming — le condizioni restano favorevoli. Secondo CoinDesk, gli USA hanno raggiunto il 26% dell’hashrate globale, un record assoluto.

Questa concentrazione geografica solleva interrogativi sulla decentralizzazione del network. Se troppe operazioni si localizzano in poche mani, aumenta il rischio di vulnerabilità, controllo e perfino censura sulla rete. Inoltre, regioni con maggiore capacità di investimento stanno consolidando il settore: Bitfarms, ad esempio, ha avviato un piano di rinnovamento dell’hardware e di espansione in nuove aree, come riportato da Cointelegraph. Chi invece opera su scala ridotta sta uscendo dal mercato o cercando nuove soluzioni.
Strategie per sopravvivere: derisking e innovazione
La sopravvivenza nel mining post-halving passa per ottimizzazione tecnologica e copertura finanziaria. Alcuni operatori, come documentato da Hashrate Index, stanno ricorrendo ai contratti derivati sull’hashrate, strumenti finanziari che consentono di vendere anticipatamente la propria capacità di calcolo. Questa strategia ha permesso a molte aziende di proteggersi dal crollo dei ricavi tra luglio e agosto 2024.
Non meno importante è l’uso di energia rinnovabile e l’accesso diretto a fonti a basso costo, come impianti idroelettrici o surplus industriali. In paesi come Paraguay, Kazakistan o Canada, i miner riescono a ottenere tariffe competitive e a garantire continuità operativa. Secondo un approfondimento di Bitcoin Magazine Pro, i piccoli miner potrebbero sopravvivere solo integrando modelli di business diversi, come la vendita di calore prodotto o il mining con energia recuperata.
Il Bitcoin post-halving non è più un terreno per tutti. Le barriere all’ingresso si sono alzate, e la sopravvivenza dipende sempre meno dalla quantità di macchine possedute e sempre più da dove sono e come vengono alimentate. E se il potere computazionale si concentra troppo, il sogno della decentralizzazione potrebbe diventare fragile proprio nel momento in cui il mondo inizia a prenderlo sul serio.