Dal 2026 il mondo delle criptovalute in Italia cambia volto. Wallet, exchange e transazioni finiranno sotto una lente fiscale simile a quella dei conti bancari tradizionali, con obblighi di tracciamento, nuove regole europee e una tassazione più severa. Un passaggio epocale che riguarda investitori, risparmiatori e operatori del settore.
Il calendario normativo accelera e la trasparenza fiscale sulle criptovalute diventa un tema centrale. Tra nuove regole europee, scambio automatico di dati e controlli incrociati, l’ecosistema crypto entra in una fase di maturità forzata.
Il quadro che emerge coinvolge Agenzia delle Entrate, autorità fiscali estere, piattaforme di scambio e utenti finali, in un intreccio normativo che promette di ridurre drasticamente le zone d’ombra. Le parole chiave sono tracciabilità, compliance, dichiarazioni fiscali e tassazione delle plusvalenze, ma il vero nodo riguarda il modo in cui questi obblighi incideranno sulla gestione quotidiana delle cripto-attività.
A partire dal 2026, l’Agenzia delle Entrate potrà contare su una mappa dettagliata delle operazioni in criptovalute degli italiani. Acquisti, vendite, trasferimenti e saldi dei wallet verranno tracciati in modo sistematico, replicando il modello già utilizzato per i conti bancari. Questo salto di qualità nasce dall’integrazione tra il Crypto-Asset Reporting Framework (CARF) dell’OCSE e la Direttiva DAC8, strumenti pensati per favorire lo scambio automatico di informazioni fiscali tra Stati. Il CARF coinvolge 47 Paesi aderenti e consente alle autorità di ricostruire le catene di trasferimento anche quando entrano in gioco exchange decentralizzati o wallet non custodial.
Il cambiamento non riguarda solo chi investe. Gli operatori crypto dovranno raccogliere e trasmettere dati anagrafici, codici fiscali, informazioni sulla residenza fiscale e l’intero flusso delle transazioni dei clienti. In parallelo entra in gioco il regolamento MiCAR (UE 2023/1114), che impone agli operatori europei di ottenere un’autorizzazione per operare legalmente nell’Unione, con termine ultimo fissato al 31 dicembre 2025. Senza questo passaggio, l’attività rischia il blocco operativo.
Sul fronte fiscale, la stretta si fa sentire. Dal 2026 è previsto l’aumento dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sui proventi da cripto-attività, che salirà dal 26% al 33%, mentre resta al 26% l’aliquota per le stablecoin ancorate all’euro. Già dal 2025 scompare la franchigia di 2.000 euro che fino a oggi esentava alcune posizioni minori, ampliando la platea dei soggetti tenuti a pagare imposte.
Gli obblighi già noti restano in vigore. Chi detiene criptovalute deve indicare saldi e movimentazioni nel quadro RW del Modello Redditi, includendo wallet privati, hardware wallet e conti presso exchange, anche decentralizzati. Continua ad applicarsi anche l’imposta di bollo del 2 per mille sulle attività crypto, equiparata a quella prevista per altri strumenti finanziari. Le sanzioni in caso di omissioni o irregolarità risultano rilevanti e cumulative, con multe che vanno da 1.500 a 15.000 euro e possibili responsabilità condivise per gli operatori non conformi.
Accanto agli aspetti fiscali, il nuovo assetto punta a rafforzare la lotta a riciclaggio, frodi e finanziamento del terrorismo, attraverso protocolli di vigilanza, report periodici sul rischio sistemico e misure di tutela dei consumatori. Per l’utente finale questo significa maggiore visibilità delle proprie posizioni da parte dell’amministrazione finanziaria; per le piattaforme, la necessità di ripensare sistemi di compliance e gestione della privacy. Con l’entrata in vigore della DAC8 e l’avvio dello scambio automatico dei dati CARF nel 2026, il settore crypto italiano si prepara a un regime di controllo strutturato e coordinato a livello internazionale, dove improvvisare non sarà più possibile.
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