Dal 2027 la pensione di vecchiaia potrebbe slittare a 67 anni e 3 mesi, con effetti diretti sull’importo dell’assegno. Tutto ruota intorno a due elementi chiave della Riforma Fornero: l’adeguamento all’aspettativa di vita e i coefficienti di trasformazione.
Da oltre un decennio la Riforma Fornero definisce i meccanismi principali del sistema previdenziale italiano. Inizialmente introdotta nel 2011 per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema, continua oggi a produrre effetti tangibili sulla vita dei lavoratori prossimi alla pensione. Secondo quanto riportato da Money.it e confermato da fonti tecniche come Lavoce.info, due aspetti stanno tornando al centro del dibattito: l’incremento automatico dei requisiti anagrafici e l’effetto riduttivo sui trattamenti derivante dall’applicazione dei coefficienti.

Si tratta di fattori che, combinati tra loro, rischiano di incidere in maniera rilevante sulle future generazioni di pensionati. Se da un lato il sistema si adegua all’aumento della speranza di vita, dall’altro si prospetta una diminuzione dell’importo degli assegni per chi maturerà i requisiti negli anni a venire. Analizziamo questi due elementi, per capire come stanno cambiando le regole della previdenza.
Dal 2027 età e contributi più alti per la pensione di vecchiaia
Uno degli effetti diretti della Riforma Fornero è il meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti anagrafici all’aspettativa di vita, come rilevata periodicamente dall’Istat. Secondo le stime aggiornate, nel 2027 l’età per accedere alla pensione di vecchiaia salirà a 67 anni e 3 mesi, rispetto agli attuali 67 anni.
L’incremento interesserà anche la pensione anticipata, che richiederà 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne. Lo ha evidenziato il portale Money.it, sottolineando che questi adeguamenti sono previsti dalla normativa vigente e non costituiscono una nuova riforma, bensì l’applicazione automatica delle regole esistenti.

Nel frattempo, resta in discussione l’ipotesi di una Quota 41 flessibile, che consentirebbe di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età, ma senza penalizzazioni sull’importo. Questo strumento, ancora in fase di analisi da parte del Ministero del Lavoro, potrebbe affiancarsi o sostituire i regimi attualmente in vigore come Quota 103 e Opzione Donna, spesso giudicati troppo penalizzanti.
Il ruolo dei coefficienti di trasformazione e il taglio dell’importo
Oltre all’aumento dell’età, un altro effetto della Riforma Fornero riguarda il meccanismo di calcolo dell’assegno pensionistico, basato sui cosiddetti coefficienti di trasformazione. Si tratta di valori numerici che, applicati al montante contributivo, determinano l’importo finale della pensione e vengono aggiornati ogni due anni.
A causa dell’aumento della speranza di vita, i coefficienti tendono a ridursi, penalizzando chi va in pensione in anni successivi. Secondo l’analisi condotta da Money.it, chi maturerà il diritto alla pensione nel 2027 potrebbe ricevere un assegno mensile più basso anche del 4-5 % rispetto a chi esce nel biennio 2025-2026.
Questo fenomeno non è legato al tipo di lavoro svolto o alla categoria professionale, ma è un effetto matematico dell’adeguamento strutturale del sistema contributivo. Per i lavoratori più giovani, ciò significa che, pur con carriere lunghe e continuative, l’importo dell’assegno potrebbe risultare inferiore alle aspettative.
L’unico modo per contrastare questo effetto è monitorare con attenzione i periodi utili ai fini contributivi e valutare l’opportunità di proseguire il lavoro oltre la soglia minima, in modo da accumulare un montante più elevato. Come evidenziato da Lavoce.info, questa flessibilità è oggi una componente fondamentale della pianificazione previdenziale individuale.