Il mercato del petrolio chiude una settimana in bilico, schiacciato tra un inatteso aumento delle scorte USA e le previsioni ottimistiche dell’OPEC sulla domanda. I dati contrastanti creano incertezza, con gli analisti che mantengono un approccio cauto per i prossimi mesi, delineando un quadro complesso.
È stata una settimana da “braccio di ferro” per il prezzo del petrolio, che ha visto le quotazioni muoversi in un delicato equilibrio tra forze contrapposte. Da un lato, i dati macroeconomici provenienti dagli Stati Uniti hanno segnalato un possibile indebolimento della domanda nel breve termine, esercitando una pressione al ribasso che ha interrotto la corsa dei prezzi. Dall’altro, l’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori guidata dall’Arabia Saudita, ha confermato una visione robusta sulla crescita della domanda globale, fornendo un supporto fondamentale ai prezzi e impedendo cali più marcati.
Questa dicotomia tra dati di breve periodo e prospettive di medio termine ha dominato le contrattazioni, lasciando il mercato in una fase di sostanziale incertezza per il petrolio, come riflesso anche dalle prudenti previsioni di agenzie come l’EIA e delle principali banche d’affari, che faticano a trovare una direzione univoca.
La settimana si è chiusa in leggero ribasso per i principali benchmark del greggio. Il Brent, riferimento europeo, ha terminato le contrattazioni a 65,82 $ al barile, mentre il WTI americano si è attestato a 63,15 $. Per il Brent, la performance settimanale si è tradotta in una perdita di circa l’1,2%. Il principale catalizzatore di questo calo è stato il report settimanale pubblicato dall’EIA (Energy Information Administration). Il dato ha colto di sorpresa il mercato, mostrando un aumento inatteso delle scorte di greggio di 3 milioni di barili, mentre gli analisti si aspettavano un calo.
Un aumento delle scorte è un segnale tipicamente ribassista, in quanto può indicare una domanda di carburante inferiore alle attese nel più grande paese consumatore del mondo. Questa notizia ha un forte impatto psicologico perché sfida la narrativa dominante di un mercato petrolifero in deficit di offerta, suggerendo che l’equilibrio tra domanda e offerta potrebbe essere meno teso del previsto, almeno nel breve termine, e giustificando così la reazione negativa dei prezzi.
A impedire un calo più marcato delle quotazioni è intervenuto il report mensile dell’OPEC, che ha fornito una visione diametralmente opposta. L’organizzazione ha infatti confermato le sue previsioni di una robusta crescita della domanda globale di petrolio per il 2025, stimata in 1,3 milioni di barili al giorno, trainata principalmente dalle economie emergenti come Cina e India. Questa solida prospettiva sulla domanda a medio termine funge da pavimento per i prezzi, ricordando al mercato che, al di là delle fluttuazioni settimanali delle scorte, il trend di fondo del consumo globale rimane in crescita. Le raccomandazioni degli analisti riflettono questo equilibrio.
La stessa EIA, nel suo ultimo outlook, prevede un prezzo medio per il Brent di 66 $ al barile per la seconda metà del 2025, suggerendo stabilità. Anche le principali banche d’affari, come Barclays, pur mantenendo target price leggermente superiori (intorno ai 72 $), non hanno rilasciato nuove previsioni aggressive, suggerendo un atteggiamento di attesa per capire quale delle due forze – la debolezza delle scorte USA o la forza della domanda globale – prevarrà.
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