C’è un meccanismo poco visibile che, per chi vive di pensione ed è alle prese con debiti, può significare centinaia di euro in meno ogni mese. Non serve un processo, non c’è un giudice a stabilire i limiti: è una norma che l’INPS applica in autonomia e che incide più di qualsiasi pignoramento tradizionale. Una regola legittima sulla carta, ma che lascia aperti interrogativi profondi sulla sua equità.
A volte il cedolino della pensione cambia senza preavviso. L’importo scende e, insieme, scende anche la tranquillità di chi già vive con poco. Non è un errore, ma una trattenuta diretta dell’INPS. Un’operazione prevista dalla legge, che però pesa più di un normale pignoramento disposto da un tribunale. In Italia, infatti, non tutti i creditori sono uguali davanti alla pensione.

Se è una banca o una finanziaria a chiedere il rientro di un debito, il giudice fissa un limite chiaro: proteggere almeno il cosiddetto “minimo vitale”, oggi attorno ai mille euro, e toccare solo ciò che resta, nella misura massima di un quinto. Ma se il creditore è l’INPS, le regole si ribaltano. L’ente può prelevare fino a un quinto dell’intera pensione, scendendo fino al trattamento minimo (meno di 600 euro nel 2025), senza considerare il minimo vitale. È una differenza che non si vede nei codici, ma si sente nel portafoglio.
Debiti con l’INPS: il taglio che può superare quello deciso da un giudice
Un esempio chiarisce la distanza tra le due strade. Su una pensione netta di 1.450 euro, un pignoramento ordinario prevede che i primi 1.000 siano intoccabili, e che solo i 450 rimanenti possano essere toccati nella misura di un quinto: 90 euro al mese. Con la trattenuta diretta dell’INPS, invece, il quinto si calcola sull’intero importo: 290 euro mensili. La differenza è di 200 euro, cioè 2.400 euro in meno in un anno. Un peso enorme per chi già fatica a coprire affitto, bollette e spese mediche.

Questa corsia preferenziale dell’INPS trova base nell’articolo 69 della legge 153/1969 e viene difesa dai giudici come legittima, in virtù della natura pubblica del creditore. Ma è proprio questa asimmetria a sollevare dubbi: perché la tutela si riduce quando è lo Stato a chiedere il conto? Per molti pensionati, il confine tra legalità e giustizia diventa sottile quando la legge consente allo stesso ente che eroga la pensione di sottrarne una parte così consistente.
Un sistema che colpisce i più fragili e un’ipotesi di riforma
Il paradosso è evidente: chi ha debiti con un privato conserva più protezioni di chi li ha con l’ente previdenziale. Una distorsione che si ripercuote soprattutto sui pensionati più fragili, quelli per cui ogni euro conta. La Costituzione parla di uguaglianza, ma questa disparità normativa va in direzione opposta. Diverse voci, tra associazioni e giuristi, chiedono di uniformare le regole: stesso limite, stesso calcolo, a prescindere dal creditore. Significherebbe riportare coerenza e garantire che nessuno venga lasciato con meno del necessario per vivere.
Fino ad allora, la trattenuta diretta continuerà a operare come una lama silenziosa, mese dopo mese. Non è solo una questione di bilanci: è una questione di dignità. E forse, finché questa discrepanza resterà, ogni pensionato con debiti saprà di non poter contare su una protezione davvero uguale per tutti.