Un condominio di Milano al centro di un caso giudiziario che mette in discussione i limiti della discrezionalità assembleare. Una storia dove i numeri cambiano il verdetto.
C’è un’aula di tribunale, una pila di bilanci e un dettaglio che fa saltare la polvere dal tappeto. In un condominio milanese, la nomina di un nuovo amministratore è diventata terreno di scontro giudiziario. Il motivo? Un compenso annuo passato da 600 euro a 2 500 €, approvato a maggioranza in assemblea. Un salto che, per il giudice, non poteva restare inosservato.
Il caso, affrontato dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 4949 del 2025, ha messo in luce una questione che tocca molti condomini: fino a che punto la maggioranza può decidere senza sconfinare nell’eccesso di potere? Perché qui non si tratta di gusti o preferenze personali, ma di legittimità.

Nell’aula, la questione è sembrata chiara: i ricorrenti, un gruppo di proprietari, hanno sostenuto che la cifra fosse sproporzionata, sia rispetto al passato sia in relazione al bilancio annuale del palazzo, pari a circa 12 000 €. Secondo loro, la decisione favoriva in modo evidente il nuovo incaricato, sacrificando l’interesse collettivo.
Il giudice ha ascoltato, ha letto le carte e ha ricollegato il tutto a un filone giurisprudenziale già consolidato. Non un episodio isolato, ma un tassello in un mosaico di sentenze che richiamano gli stessi principi.
Quando la discrezionalità diventa vizio
La libertà dell’assemblea condominiale non è assoluta. La Corte di Cassazione, più volte, ha chiarito che il potere discrezionale va esercitato entro confini ben precisi. Non si tratta di sindacare il merito delle scelte, ma di verificare che siano prese nell’interesse comune.
Nel caso di Milano, il Tribunale ha applicato proprio questo concetto. Secondo la sentenza, si configura eccesso di potere quando la causa della delibera è deviata dal suo fine originario. Tradotto: se la decisione serve interessi estranei o privilegia singoli, il voto può essere annullato.

Qui, il salto di compenso è stato ritenuto abnorme e irragionevole. Le prove portate in aula, e non contestate, mostravano che la somma non aveva un legame con i parametri di mercato per edifici simili. La scelta dell’assemblea, secondo il giudice, non rispondeva al bene del condominio, ma a un vantaggio mirato per il nuovo amministratore.
Non è un tecnicismo da poco: dichiarare nulla una delibera significa cancellare un atto approvato a maggioranza, riportando il condominio al punto di partenza e aprendo la strada a un nuovo voto.
Un precedente che pesa
La sentenza milanese non si ferma al caso specifico. Si inserisce in un percorso giuridico che include pronunce come Cass. n. 15492/2007 e Cass. n. 7615/2023. Un orientamento chiaro: il giudice può entrare nel merito quando il compenso fissato dall’assemblea è palesemente sproporzionato.
Il verdetto richiama anche un messaggio più ampio: la trasparenza nelle decisioni condominiali non è un optional. Ogni scelta deve poggiare su dati oggettivi e motivazioni solide, altrimenti il rischio è che diventi un favore mascherato.
Per chi vive in un condominio, questa storia è un promemoria: le cifre nei bilanci non sono dettagli tecnici, ma decisioni che possono fare la differenza tra una gestione equilibrata e un contenzioso. E, come ha mostrato Milano, basta un voto mal calibrato per trasformare una riunione di routine in un caso giudiziario capace di fare scuola.