Il Buffett Indicator, o rapporto Market Cap/GDP, ha toccato a luglio 2025 livelli tra i più alti degli ultimi decenni, alimentando il dibattito sulla valutazione complessiva del mercato azionario USA. Questo indicatore, reso celebre da Warren Buffett, confronta la capitalizzazione totale del mercato con il PIL nominale, fornendo un quadro sintetico di sopravvalutazione o sottovalutazione.
Secondo i dati di Advisor Perspectives e Wilshire, il rapporto si attesta intorno al 172 %, ben oltre la media storica di lungo periodo (80 %). Un valore superiore al 100 % viene spesso interpretato come segnale di mercato “caro”, anche se il contesto macro e i tassi di interesse incidono in modo significativo sulla sua lettura e comparabilità storica.

Rispetto al massimo storico oltre il 200 % registrato nel 2021, l’attuale livello resta più contenuto ma comunque elevato, in un contesto in cui la crescita degli utili, l’andamento della produttività e il peso crescente delle big cap tecnologiche continuano a influenzare fortemente la metrica. Alcuni analisti, tra cui quelli di Bloomberg Intelligence, sottolineano inoltre che la concentrazione di capitalizzazione in pochi titoli a forte componente tecnologica rende l’indicatore particolarmente sensibile a variazioni anche limitate nei multipli di questo segmento.
Origini, metodologia e limiti dell’indicatore
Il Buffett Indicator è stato definito da Warren Buffett come “probabilmente la migliore singola misura dello stato delle valutazioni” quando venne reso popolare nei primi anni 2000. La formula mette a confronto la capitalizzazione totale del mercato azionario — in questo caso l’indice Wilshire 5000 Total Market Index — con il PIL nominale statunitense. La ratio è considerata uno strumento sintetico: valori sotto il 75 % sono stati in passato associati a fasi di sottovalutazione, mentre livelli sopra il 120–130 % hanno spesso preceduto periodi di correzione o rendimento inferiore alla media.

Tuttavia, analisti come quelli di Morningstar e J.P. Morgan evidenziano alcuni limiti dell’indicatore. L’incremento strutturale del peso delle società tecnologiche ad alta capitalizzazione e la crescente globalizzazione dei ricavi rendono meno diretta la correlazione tra market cap e PIL nazionale. Inoltre, il livello dei tassi di interesse, le politiche fiscali e le aspettative sugli utili futuri possono influenzare in modo sostanziale il “fair value” percepito dal mercato, alterando la soglia interpretativa storica.
Contesto attuale, analisi storica e reazioni del mercato
Il dato di luglio 2025 si inserisce in un contesto macroeconomico caratterizzato da crescita del PIL moderata, inflazione sotto controllo e tassi della Federal Reserve ai livelli più bassi dal 2021. Secondo FactSet, la capitalizzazione aggregata delle società quotate USA ha raggiunto circa 55.200 miliardi $, a fronte di un PIL nominale stimato intorno a 32.000 miliardi $, generando l’attuale rapporto del 172 %.
L’analisi storica mostra come valori elevati del Buffett Indicator abbiano in passato preceduto fasi di maggiore volatilità o di rendimenti azionari più contenuti, ma non siano stati sempre seguiti da correzioni immediate. Il picco del 2021 sopra il 200 % fu accompagnato da una successiva contrazione dei principali indici, ma casi come il 2017–2019 dimostrano che l’indicatore può restare su livelli elevati per anni senza inversioni significative.
Gli operatori di Bloomberg e CNBC osservano che la forte concentrazione in titoli come Apple, Microsoft, Alphabet e Nvidia continua a spingere verso l’alto la capitalizzazione complessiva, amplificando la lettura di sopravvalutazione. Gli strategist di Goldman Sachs segnalano che, se i tassi reali dovessero rimanere bassi e la crescita degli utili sopra il 7 % annuo, il mercato potrebbe “sostenere” multipli superiori alla media storica ancora per un periodo prolungato. Tuttavia, in caso di rallentamento economico o di revisione al ribasso degli utili attesi, l’indicatore potrebbe rapidamente ridimensionarsi, riportando l’attenzione sul rischio di correzione.