I mercati speravano in una tregua. Invece, l’accordo commerciale tra Europa e Stati Uniti ha innescato una reazione a catena inattesa: vendite improvvise, euro sotto pressione e forti perdite nei settori più esposti. Gli investitori si interrogano ora sulla vera natura dell’intesa.
L’accordo, annunciato con toni distensivi, sembrava destinato a raffreddare le tensioni tra Washington e Bruxelles. Eppure, i numeri dicono altro: listini in calo, valute deboli, volatilità in aumento. Le Borse hanno vissuto ore di incertezza, mentre analisti e economisti si affrettavano a interpretare l’impatto delle nuove regole. In assenza di dettagli operativi chiari, i mercati hanno reagito con diffidenza.

C’è un elemento che ha colpito più di altri: la divergenza tra narrativa ufficiale e percezione degli investitori. Mentre le autorità parlavano di “svolta strategica”, gli scambi segnalavano altro. Si è fatto spazio il dubbio che l’intesa, invece di rilanciare la cooperazione, possa penalizzare le economie più dipendenti dall’export.
Tra le piazze europee, la Germania è apparsa la più vulnerabile, seguita dall’Italia. La composizione settoriale e la dipendenza da determinati comparti rendono questi Paesi più esposti. E se la politica commerciale cambia direzione, gli effetti possono propagarsi in fretta.
Un accordo dai contorni fragili e impatto immediato sui listini
Il 31 luglio, l’intesa tra Bruxelles e Washington per ridurre i dazi su alcuni beni industriali e automotive avrebbe dovuto segnare un punto di svolta nei rapporti transatlantici. Secondo Reuters, lo Stoxx Europe 600 ha invece chiuso la seduta con un calo dell’1,9%, il peggiore da aprile. Ancora più marcata la perdita per il DAX di Francoforte (–2,7%) e per il CAC 40 di Parigi (–1,8%).
Contemporaneamente, l’euro è sceso di oltre 1% contro il dollaro, innescando interrogativi sulla competitività dell’Unione Europea nel nuovo scenario. Il comparto automobilistico, apparentemente tra i beneficiari dell’intesa, ha registrato le peggiori performance: Volkswagen, Stellantis e BMW hanno perso fino al 4,2% secondo FT e Barron’s.

Il commento di Morgan Stanley è stato netto: gli investitori si attendevano vantaggi più concreti, ma si sono trovati di fronte a clausole tecniche penalizzanti per l’Europa. L’accordo include limitazioni su origine preferenziale, componenti digitali e standard ambientali, elementi che potrebbero ostacolare l’export europeo più di quanto previsto.
Ripercussioni macro e il cambio di tono degli analisti
Secondo European Times ed Euronews, alcuni economisti definiscono l’accordo “un ricorso pragmatico al danno”, sottolineando l’assenza di una visione strategica condivisa. L’intesa sembra più un modo per evitare l’inasprimento delle relazioni, che non una reale apertura commerciale. Le industrie manifatturiere di Germania e Italia, già sotto pressione, potrebbero risentirne maggiormente.
Anche Bloomberg ha sottolineato come il mercato stia rivedendo al ribasso le attese sugli utili industriali del terzo trimestre. Il calo dei Pmi manifatturieri in Europa, unito all’impatto valutario, spinge alcuni fondi macro ad assumere posizioni difensive. Il rendimento del Bund decennale è sceso di 7 punti base e l’indice VIX è salito del 12%, segno di tensione.
Le prossime mosse della BCE diventano ora centrali, così come la capacità dei governi europei di proteggere i settori più esposti. Il sell-off ha rivelato una fragilità strutturale: quando la politica commerciale si fa geopolitica, i mercati reagiscono con meno pazienza e più cautela.