Un contratto d’affitto non è sempre sinonimo di rendita serena. Quando gli inquilini si trasformano in una fonte continua di stress, anche il miglior investimento immobiliare può diventare una trappola. Cosa accade se la quiete del condominio viene stravolta? E quali strumenti ha oggi un proprietario di immobile in affitto per tutelarsi davanti a situazioni insostenibili? Una recente sentenza ha riacceso i riflettori su un problema che molti fingono di non vedere. E stavolta, a farne le spese non è stato il padrone di casa.
Esistono storie che iniziano con una stretta di mano e una firma, e finiscono con avvocati, carte bollate e notti insonni. L’affitto, per molti, è una forma di investimento, una certezza su cui contare. Ma cosa succede quando quella certezza si sgretola sotto il peso di comportamenti molesti, rumori continui, liti condominiali e danni alle parti comuni? Alcuni proprietari scelgono di chiudere un occhio. Altri, esasperati, si rivolgono ai tribunali. Ed è proprio lì che, in alcuni casi, trovano finalmente ascolto.

Non è solo una questione di fastidio o maleducazione. Quando la convivenza civile viene minata da chi abita in affitto, si entra in un campo delicato, fatto di diritti e doveri. E oggi la giurisprudenza sta iniziando a dare risposte più nette, più rapide, più coraggiose.
Quando il giudice dice basta: il contratto d’affitto può essere rotto per comportamenti molesti
Nel 2025, il Tribunale di Bergamo con sentenza n. 812 del 2025 ha preso posizione con una sentenza che potrebbe fare scuola. Il protagonista? Un proprietario di immobile in affitto che si è ritrovato al centro di una vera e propria tempesta condominiale a causa degli inquilini del suo appartamento. Non per morosità, ma per il caos generato giorno dopo giorno: schiamazzi, danneggiamenti, violazioni della privacy, uso improprio delle aree comuni e persino manomissione di impianti.

La situazione era diventata talmente intollerabile da spingere alcuni vicini ad abbandonare le proprie abitazioni. Il proprietario, esasperato, ha chiesto al giudice la risoluzione del contratto. E ha vinto. La corte ha riconosciuto un grave inadempimento contrattuale, basandosi sull’articolo 1587 del Codice Civile, che impone all’inquilino di usare l’immobile con diligenza e rispetto.
Ma ciò che rende questa decisione davvero importante è che non si trattava di una morosità classica o di danni economici. Il giudice ha dato peso al disturbo arrecato agli altri condomini, dimostrando che la serenità condominiale è un bene giuridicamente tutelabile. Non servono dieci episodi gravi: ne basta uno, se è sufficiente a spezzare il rapporto fiduciario tra locatore e conduttore.
Affittare non significa perdere il controllo: così il proprietario può tutelarsi fin da subito
Questa sentenza segna un punto fermo, ma rappresenta anche un monito. Essere proprietari di un immobile in affitto oggi significa non solo scegliere con attenzione l’inquilino, ma anche prevedere clausole che tutelino il vivere comune. Inserire nel contratto previsioni specifiche contro rumori molesti o comportamenti lesivi può rafforzare la posizione del locatore fin da subito.
Le norme già ci sono, come l’articolo 844 del Codice Civile, che stabilisce i limiti della normale tollerabilità. Ma servono prove, testimonianze, azioni tempestive. La giustizia, quando interpellata con intelligenza, può davvero fare la differenza.
D’altra parte, l’esperienza lo dimostra: il valore reale di una casa in affitto non è solo nella rendita, ma nella sua capacità di garantire tranquillità a chi vi abita, e a chi vive intorno. Quando questa tranquillità viene distrutta, anche il miglior contratto diventa carta straccia. Agire prima, con consapevolezza e strumenti adeguati, può evitare danni peggiori e permettere di vivere la locazione per quello che dovrebbe essere: un’opportunità, non un rischio.