Sembrava una regola non scritta: sulle strisce pedonali si è sempre dalla parte della ragione. Ma una nuova sentenza della Cassazione cambia le carte in tavola e apre scenari imprevisti. Non basta più attraversare nel punto giusto: se il comportamento è considerato imprudente, la colpa dell’incidente può essere anche del pedone. E non finisce qui: se chi viene investito è un lavoratore autonomo, ottenere il risarcimento non è affatto scontato. C’è un nuovo criterio, molto più rigido, che potrebbe far saltare molte richieste di indennizzo.
Sotto la pioggia, con un ombrello in mano e magari qualche pensiero di troppo, attraversare può sembrare un gesto meccanico. Ma le nuove interpretazioni della legge trasformano questa azione quotidiana in una responsabilità concreta. In un mondo dove le telecamere riprendono ogni dettaglio, nulla può essere lasciato al caso.

E quando una corte mette nero su bianco che nemmeno le strisce garantiscono più l’immunità, l’effetto è immediato: cambia il modo di vivere la strada. Non si tratta solo di rispettare il codice, ma di capire come il comportamento individuale possa influenzare, pesantemente, le decisioni dei giudici.
Attraversare con disattenzione ora può costare caro: ecco perché anche sulle strisce si può essere responsabili
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione (ordinanza 18313/2025), un geometra è stato investito da un autobus mentre attraversava sulle strisce pedonali. Apparentemente una situazione chiara. Ma le immagini delle telecamere hanno mostrato qualcosa di diverso: l’uomo si è lanciato sulla carreggiata senza guardare, con un ombrello aperto che limitava la visuale. L’autista ha provato a frenare bruscamente, ma l’impatto è stato inevitabile.

La Cassazione ha stabilito che la responsabilità è da dividere a metà: 50% al conducente, 50% al pedone. Questo perché l’attraversamento imprudente ha creato un pericolo improvviso. È un messaggio forte: il diritto di precedenza non è un lasciapassare per l’imprudenza. Il codice della strada impone ai pedoni un comportamento attento, soprattutto in condizioni di visibilità ridotta o traffico intenso. E questo vale per tutti, anche se si è nel punto giusto.
Questa sentenza segna un cambiamento profondo nella responsabilità stradale. Le compagnie assicurative e i tribunali valuteranno sempre più attentamente il comportamento di entrambe le parti, usando video e prove oggettive. Non basta più dire “ero sulle strisce”.
Non basta dichiarare di aver perso lavoro: per il risarcimento servono prove concrete e documenti dettagliati
Il geometra ha anche chiesto un risarcimento per il lucro cessante, cioè i guadagni persi durante il periodo d’inattività. Ha presentato solo la dichiarazione dei redditi. Ma la Cassazione è stata netta: questo documento da solo non basta. Prima bisogna dimostrare di aver subito un danno economico, poi lo si può quantificare con i redditi.
Per un professionista, questo significa raccogliere email, contratti saltati, progetti rimandati. Senza tutto questo, non c’è risarcimento. Il criterio ora è molto più severo: serve dimostrare il legame diretto tra l’infortunio e la perdita di guadagno. Un cambio di rotta che potrebbe mettere in difficoltà molti autonomi, abituati a documentare poco.