Sta per partire per le vacanze… ma un dettaglio in busta paga può cambiare tutto. Mentre molti chiudono il computer e prenotano il volo, altri restano fermi per obblighi di servizio o scelte personali. E quei giorni di ferie non goduti? Una recente sentenza riapre la questione.
Dietro le righe delle norme si nasconde un diritto spesso trascurato. Ma quando il datore di lavoro sbaglia, anche l’impossibile può diventare legittimo. Le regole sembrano chiare, eppure qualcosa inizia a scricchiolare. Una storia vera, un militare coinvolto, una decisione che farà discutere.

Le ferie sono lì, segnate in fondo al cedolino, come promesse in sospeso. A volte mancano tempo e modo per prenderle. Altre volte è proprio l’ufficio a impedirlo. Succede spesso nei contesti pubblici, dove le esigenze di servizio hanno la meglio. E così, anno dopo anno, si accumulano giorni di riposo mai goduti. La legge dice che non possono essere trasformati in denaro, ma le cose non sono sempre così nette. È il caso di un finanziere in aspettativa che ha chiesto l’indennità per ferie mai fatte. Gli hanno risposto di no, ma il TAR ha detto il contrario. E la motivazione è tutt’altro che banale.
Sta per partire per le vacanze, ma il TAR dice che le ferie possono valere soldi
Il TAR Friuli-Venezia Giulia, con la sentenza n. 19/2025, ha chiarito un principio potente: quando il dipendente pubblico non può godere delle ferie per cause non dipendenti da lui, quelle giornate devono essere pagate. Non basta dire che non ha fatto richiesta. L’amministrazione ha l’obbligo di informarlo, sollecitarlo, organizzare turni e tempi per permettere il riposo. Altrimenti, la responsabilità è sua.

Il caso riguarda un militare della Guardia di Finanza che, prima di andare in aspettativa, aveva ancora giorni di ferie non goduti. Aveva chiesto l’indennità sostitutiva, ma il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha risposto negativamente, sostenendo che fosse colpa sua. Il TAR ha però ribaltato tutto: non è il lavoratore a dover dimostrare di aver fatto richiesta, è il datore di lavoro che deve dimostrare di aver fatto il possibile per farlo riposare.
Questa posizione è perfettamente in linea con la Direttiva europea 2003/88/CE, secondo cui il diritto alle ferie retribuite è fondamentale e non può essere cancellato solo perché i tempi sono scaduti. Vale anche se il contratto collettivo non lo prevede, e l’ARAN ha più volte confermato che la fruizione delle ferie non è negoziabile.
Quel dettaglio dimenticato che può trasformarsi in una retribuzione inaspettata
Quando un dipendente pubblico non riesce a usare le sue ferie e l’amministrazione non ha fatto nulla per impedirlo, nasce un diritto. Non si tratta solo di giorni di riposo perduti, ma di compensi reali, calcolabili in base alla retribuzione lorda giornaliera. E la responsabilità, secondo la Corte europea e ora anche secondo il TAR, è tutta in capo al datore di lavoro.
Il TAR ha sottolineato che un’amministrazione diligente deve avvisare per tempo, chiarire i rischi e garantire al dipendente la possibilità concreta di fermarsi. Se questo non accade, non solo non può cancellare le ferie, ma deve pagarle. La sentenza non crea una regola nuova, ma interpreta in modo rigoroso un principio già affermato a livello europeo. Un principio che ora si fa strada anche nei tribunali italiani.
Quante ferie non godute restano ogni anno chiuse nei file dei dipartimenti pubblici? E quante di queste potrebbero diventare un credito? La risposta non è scritta in una legge, ma nel comportamento concreto di chi gestisce il personale. E forse, dietro un’estate senza vacanze, si nasconde un diritto che vale più di una settimana in spiaggia.