Una vacanza tanto attesa può trasformarsi in un puzzle inaspettato. Basta poco: un malessere improvviso, una visita medica, una fattura scritta in una lingua straniera. E poi, una volta tornati a casa, ecco l’altra sorpresa: cosa fare con quelle spese mediche all’estero? Chi ha affrontato una situazione simile sa quanto possa diventare complesso orientarsi.
Tra documenti da conservare, regole fiscali da conoscere e traduzioni da capire, ogni dettaglio può fare la differenza. E se il tutto avviene proprio durante un ponte festivo, magari il 2 giugno, la storia diventa ancora più interessante. Nessuno si aspetta che un viaggio si trasformi in un’esperienza fatta anche di ricevute, norme e domande da rivolgere al commercialista. Eppure, succede.

Quando si organizza un viaggio, l’attenzione si concentra su valigie, voli e mete da esplorare. Nessuno immagina di dover affrontare una visita medica in una clinica estera, lontano da casa e con tutte le difficoltà del caso. Ma se accade, è fondamentale sapere che una semplice fattura può aprire le porte a domande molto più grandi. È detraibile? Serve una traduzione giurata? E il volo pagato per raggiungere il Paese dove si è stati curati conta qualcosa?
Non sempre le risposte sono immediate, e la voce del commercialista, al rientro, può chiarire o complicare la situazione. Cosa fare se ci si è rivolti a un medico all’estero e si è ricevuta una fattura apparentemente valida? Si tratta solo di conservarla o bisogna fare altro? Dietro ogni foglio di carta può nascondersi una normativa ben precisa, che non tutti conoscono davvero.
Spese mediche all’estero: le regole per non sbagliare
Le spese sanitarie sostenute fuori dall’Italia sono soggette allo stesso regime fiscale di quelle italiane. Il principio è chiaro, ma applicarlo può non esserlo. È necessario che la prestazione rientri tra quelle sanitarie riconosciute, e che la documentazione sia completa e quietanzata. Se la fattura è scritta in inglese, francese, tedesco o spagnolo, la traduzione può essere fatta dal contribuente. Altrimenti, è obbligatoria la traduzione giurata.

Il commercialista, in uno dei casi affrontati, ha sollevato una domanda interessante: “E se c’è stato un rimborso dall’assicurazione?”. In quel caso, ha spiegato che la detrazione è possibile solo se il premio dell’assicurazione non è stato detratto o dedotto in precedenza. Quindi, se la polizza è stata pagata senza benefici fiscali, la spesa medica rimborsata può comunque essere inserita nel 730. Altrimenti, niente detrazione.
Inoltre, solo la quota rimasta effettivamente a carico del contribuente è detraibile. Se la spesa è stata parzialmente rimborsata, si può indicare solo la parte residua. Una regola poco nota, ma che fa la differenza. E sì, la franchigia di 129,11 euro resta valida anche in questi casi.
Infine, le spese di viaggio e soggiorno all’estero non rientrano tra quelle detraibili, anche se legate alla cura. Lo ha chiarito con fermezza: “Se non c’è una finalità medica diretta e certificata nella spesa, resta fuori dalla detrazione”.
Un’esperienza reale che insegna più di una lezione
Durante il ponte del 2 giugno, un malessere in viaggio ha portato alla visita in una clinica straniera e alla relativa fattura. Una volta tornati, il confronto con il commercialista ha permesso di districare i dubbi. La fattura era completa, la traduzione rientrava tra quelle ammesse, e la spesa era stata in parte rimborsata da una polizza. Fortunatamente, il premio dell’assicurazione non era mai stato detratto, quindi la spesa medica all’estero si è potuta inserire nel 730, per la parte effettivamente rimasta a carico.
È stato proprio il commercialista a ricordare che anche una situazione apparentemente lineare può nascondere aspetti tecnici. Senza documenti completi, nessun rimborso fiscale è possibile. E senza conoscere la normativa, si rischia di perdere un diritto. Questo episodio ha mostrato quanto valga la pena affrontare ogni dubbio con attenzione, magari prima ancora di partire.