Cosa succede quando si dice no agli straordinari? È solo un rifiuto, o può trasformarsi in qualcosa di più serio? Nel mondo del lavoro di oggi, ogni minuto conta. Ma chi decide davvero quanto tempo si deve dedicare all’azienda? Quando il confine tra disponibilità e obbligo si fa sottile, le conseguenze possono essere sorprendenti.
E dietro a una richiesta “innocente” si può nascondere molto di più di quanto sembri. La parola chiave è: licenziamento per rifiuto straordinari. E no, non è solo un’ipotesi teorica.

In molte realtà aziendali, il concetto di straordinario non è più legato a un’urgenza eccezionale, ma è ormai diventato la norma. Il personale è ridotto, i ritmi sono alti e le richieste di ore extra si moltiplicano. Alcuni lavoratori accettano senza protestare, magari sperando in un riconoscimento economico. Altri, invece, pongono dei limiti. Ed è lì che iniziano i problemi. Quando si dice di no a una richiesta di lavoro fuori orario, la reazione non è sempre serena. A volte, quel semplice gesto viene interpretato come mancanza di collaborazione, se non addirittura come una sfida.
Quando il rifiuto agli straordinari può diventare un rischio concreto
Il punto di partenza è chiaro: il rifiuto del lavoro straordinario non è sempre motivo di licenziamento. Esistono limiti precisi, stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi. In linea generale, non si possono superare le 8 ore di straordinario alla settimana e le 250 in un anno, salvo diverse indicazioni contrattuali. Oltre questi numeri, il datore di lavoro non può imporre nulla.

Se però le richieste rientrano nei limiti legali e contrattuali, e il lavoratore si oppone sistematicamente senza fornire giustificazioni concrete, allora la situazione cambia. La Corte di Cassazione (ordinanza n. 10623/2023), ad esempio, ha stabilito che un comportamento ostinato e continuativo può portare al licenziamento per giustificato motivo soggettivo, soprattutto se crea disagi organizzativi. Attenzione però: il rifiuto isolato, motivato da esigenze personali o familiari, non basta a giustificare un allontanamento dal posto di lavoro.
Ecco perché la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Esporre per tempo e per iscritto le ragioni del proprio rifiuto può evitare incomprensioni, sanzioni o situazioni peggiori. Questioni di salute, assistenza a familiari o impegni improrogabili sono motivi validi che vanno riconosciuti e rispettati.
Se arriva il licenziamento: cosa fare (e cosa sapere)
Quando il rifiuto delle ore extra porta a un licenziamento, la prima cosa da fare è verificare se sono state rispettate le procedure previste. In questi casi, il licenziamento è di tipo disciplinare e deve essere sempre preceduto da una contestazione formale. Se questo passaggio manca, l’intero provvedimento può essere considerato nullo.
Chi riceve una lettera di licenziamento per motivi legati agli straordinari ha 60 giorni per contestare per iscritto la decisione e 180 per presentare un ricorso presso il tribunale del lavoro. È anche possibile chiedere l’aiuto di un sindacato o attivare una mediazione con la Direzione Territoriale del Lavoro. Ogni caso è diverso, ma avere documentazione scritta e motivazioni solide può fare la differenza.
A volte il confine tra dovere e abuso non è netto. E proprio per questo, ogni lavoratore dovrebbe sentirsi libero di porre limiti, senza temere ripercussioni. Ma questo equilibrio, nel concreto, è spesso difficile da raggiungere. E allora, quanto è lecito dire no, senza mettere a rischio il proprio futuro professionale.