Centinaia di partite IVA stanno ricevendo comunicazioni dall’Agenzia delle Entrate, ma non si tratta di semplici avvisi. Qualcosa non quadra nei dati dichiarati nel 2022, e ora il Fisco torna alla carica. Tra codici usati in modo scorretto, aiuti mai registrati e quadri compilati in maniera errata, la posta in gioco è alta.
Chi ha commesso anche una piccola svista rischia di dover restituire quanto ricevuto, con interessi. Ma una soluzione esiste, se si interviene nel modo giusto.

Un messaggio in arrivo nella PEC o nel Cassetto Fiscale può cambiare la giornata di molti professionisti e imprese. L’Agenzia delle Entrate ha ufficialmente dato il via a una nuova campagna di controlli sulle partite IVA, focalizzata sugli aiuti di Stato e su quelli in regime de minimis indicati nelle dichiarazioni per l’anno 2021. Anche se l’attenzione sembra puntata sul 2022, il cuore della questione riguarda i dati riferiti all’anno precedente, e più precisamente alla loro corretta compilazione nei modelli Redditi, IRAP e 770.
Il problema più ricorrente è legato al mancato allineamento tra quanto dichiarato e quanto effettivamente registrato nei sistemi pubblici come RNA, SIAN e SIPA. Una discrepanza che, nella maggior parte dei casi, ha origine da un utilizzo scorretto del codice 999, il cosiddetto codice residuale previsto per alcuni aiuti non catalogati. Se impiegato per agevolazioni già dotate di un proprio codice, oppure per aiuti non riconosciuti, porta a un vero e proprio blackout amministrativo. Nessuna registrazione ufficiale, e quindi rischio di perdere il beneficio o di dover restituire i fondi.
Cosa contengono le lettere del Fisco e come correggere gli errori
Le nuove lettere di compliance fiscale sono state inviate tramite PEC o rese disponibili nel Cassetto Fiscale. Al loro interno, i contribuenti trovano l’elenco degli aiuti di Stato dichiarati ma non registrati, i riferimenti delle dichiarazioni coinvolte e le istruzioni per rimediare. Chi si riconosce tra i destinatari può regolarizzare la propria posizione presentando una dichiarazione integrativa, correggendo i dati necessari: dal codice ATECO alla localizzazione geografica, fino al tipo di spesa.

Nel caso in cui l’aiuto non sia mai stato registrato a causa di un errore formale, la correzione consente la sua regolare contabilizzazione nei registri pubblici, anche se solo nell’anno successivo. Se invece si tratta di un’agevolazione non spettante, si dovrà procedere con la restituzione dell’importo, comprensivo degli interessi maturati.
Chi sceglie di sanare la propria posizione può ricorrere al ravvedimento operoso, che consente di versare le sanzioni in misura ridotta. Tuttavia, si applicano ancora le regole precedenti al D.Lgs. n. 87 del giugno 2024. Per evitare ulteriori problemi, è fondamentale agire tempestivamente e valutare con attenzione la situazione.
La vicenda mette in luce un aspetto spesso trascurato: quanto può pesare un piccolo errore tecnico in un sistema complesso come quello della fiscalità italiana. Un semplice codice può determinare la sorte di un contributo ricevuto in buona fede. La domanda che sorge spontanea è: quante altre trappole silenziose si nascondono nelle pieghe delle dichiarazioni fiscali?