Un conto corrente in rosso può diventare un incubo quando chi lo ha aperto non c’è più. In mezzo al dolore per una perdita, può arrivare una lettera dalla banca: saldo negativo, cifre che non perdonano, e un dubbio che pesa più di qualsiasi cifra. Chi deve saldare? Il coniuge superstite? I figli? E se nessuno volesse o potesse pagare?
C’è una via, legale e poco conosciuta, che può cambiare completamente lo scenario. La parola chiave è una sola: rinuncia. Ma attenzione, non si tratta di una decisione da prendere a cuor leggero.

Una situazione come questa è più comune di quanto si immagini. Un parente muore, lascia un conto in perdita e, nel caos del lutto, arriva la paura: ora a chi tocca coprire quello scoperto? Il primo pensiero va alla famiglia più vicina, ai figli, al partner. Ma la legge offre una possibilità concreta per evitare di farsi carico dei debiti bancari: si chiama rinuncia all’eredità, e se fatta correttamente, protegge chi resta.
Il punto è che molti non ne sono a conoscenza. E in quel vuoto informativo, si rischia di agire d’istinto, facendo errori che costano cari. Anche un gesto banale, come pagare una bolletta o accedere al conto online del defunto, può trasformarsi in accettazione tacita dell’eredità, e rendere impossibile tornare indietro.
Rinunciare all’eredità per evitare i debiti del defunto
Chi non vuole assumersi i debiti di un parente defunto, incluso un conto corrente scoperto, ha uno strumento legale a disposizione: la rinuncia all’eredità. Si tratta di un atto formale, che va fatto davanti a un notaio o in tribunale, e che esclude completamente da ogni responsabilità patrimoniale legata al defunto.

Attenzione però: non è possibile scegliere solo i beni e lasciare i debiti. La rinuncia è totale. Se si accetta l’eredità, si prendono anche i problemi economici; se si rinuncia, non si eredita nulla, né debiti né beni. Ma ci sono eccezioni importanti. Anche chi rinuncia ha comunque diritto, per esempio, alla pensione di reversibilità, al TFR, alle ultime mensilità lavorative e, se si tratta del coniuge, al diritto di abitazione nella casa di famiglia.
Per chi conviveva con il defunto o ha accesso ai suoi beni, i tempi sono stretti. La legge prevede che, entro tre mesi dal decesso, si debba fare un inventario e poi formalizzare la rinuncia. Chi invece non ha beni in possesso ha tempo fino a dieci anni, anche se aspettare troppo può creare complicazioni.
C’è un’altra via, più rischiosa: cercare un accordo con la banca per saldare solo una parte del debito. Ma attenzione: anche solo accettare una proposta scritta può costituire un’accettazione tacita. Meglio, se proprio si vuole tentare, mantenere il dialogo in forma verbale e senza impegni formali fino a quando non si è certi della strada da seguire.
Alla fine, la scelta è personale, ma deve essere fatta con consapevolezza. Il rischio non è solo economico, ma legato a gesti che sembrano innocui ma che la legge interpreta diversamente. Conoscere la procedura per rinunciare all’eredità può salvare da errori irreparabili.