Trasparenza o strategia? Il caso Bitwise riaccende il dibattito nel mondo delle criptovalute. In un ecosistema basato su decentralizzazione e verifica pubblica, sorprende che la maggior parte delle aziende crypto non pubblichi gli indirizzi delle proprie riserve Bitcoin. L’eccezione è Bitwise, che ha scelto di aprire le sue chiavi al mondo. Ma perché le altre aziende non seguono questo esempio? E quanto incide questa scelta sulla fiducia degli investitori?
In un’epoca in cui la blockchain promette trasparenza assoluta, il comportamento delle aziende crypto racconta una storia diversa e, per certi versi, sorprendente. Bitwise è finora l’unico emittente di ETF Bitcoin spot ad aver reso pubblici i propri indirizzi BTC, mossa che ha aperto un confronto acceso tra chi chiede chiarezza e chi invoca riservatezza strategica.

Questa decisione, oltre ad avere valore simbolico e comunicativo, consente a qualunque utente di verificare direttamente sulla rete l’effettiva quantità di Bitcoin detenuti dal fondo, rafforzando la fiducia degli investitori. Ma se questa è una possibilità concreta, trasparente e coerente con i principi della decentralizzazione, perché nessun altro ha ancora seguito lo stesso percorso, nonostante l’evidente vantaggio reputazionale?
Perché le aziende evitano di rendere pubblici gli indirizzi
La domanda è lecita, soprattutto considerando che la fiducia nel sistema è una delle basi dell’investimento in criptovalute. Secondo quanto riportato da Nasdaq e Crypto.news, la maggior parte delle aziende preferisce affidarsi a dichiarazioni ufficiali e certificazioni dei revisori piuttosto che aprire i propri wallet alla verifica pubblica. La motivazione principale? Sicurezza. Pubblicare un indirizzo comporta rischi informatici, in quanto potrebbe attirare hacker o soggetti malevoli.
Ma c’è anche una questione di strategia aziendale: alcune realtà vogliono evitare di esporre la propria posizione in Bitcoin per non influenzare i mercati o rivelare decisioni tattiche. Inoltre, manca ancora un quadro normativo chiaro su cosa comporterebbe dal punto di vista legale e fiscale tale divulgazione. A oggi, la prassi dominante resta quella dell’opacità, anche in presenza di bilanci certificati.

A complicare ulteriormente il tema c’è l’assenza di una vera e propria Proof of Reserves standardizzata. Anche Bitwise, pur essendo trasparente, non ha fornito ancora una prova crittografica firmata dei propri indirizzi, che secondo esperti come Fred Krueger, coautore del Big Bitcoin Book, rappresenterebbe il vero benchmark della trasparenza nel settore.
La trasparenza come leva per la fiducia nel lungo periodo
La posizione di Bitwise è chiara: come dichiarato dal responsabile degli investimenti Matt Hougan, rendere pubblici gli indirizzi Bitcoin è “una piccola cosa che rappresenta molto”, ed è pensata per dimostrare coerenza con i valori fondamentali del Bitcoin, basati su verifica e non fiducia cieca.
Eppure, al momento, gli altri fondi e società quotate sembrano orientati a un approccio più tradizionale. Ci si affida ai custodi centralizzati, alle verifiche di terze parti e a una narrazione di affidabilità. Ma in un ambiente ancora segnato da scandali come quello di FTX, gli investitori più esperti iniziano a domandarsi se non sia il caso di pretendere qualcosa di più.
Nel frattempo, Bitwise resta isolata ma osservata con attenzione. L’adozione di queste pratiche da parte di altri operatori, secondo alcuni analisti, potrebbe segnare un punto di svolta nella costruzione di fiducia nel settore. E forse, più che il prezzo del Bitcoin, a fare la differenza sarà la disponibilità a mostrarsi nudi sulla blockchain.