Nato per sfidare le banche, il Bitcoin prometteva di rivoluzionare il mondo della finanza con un sistema decentralizzato e libero da intermediari. Oggi, però, è entrato nei radar di Wall Street, delle banche centrali e persino dei governi. Alcuni lo considerano una minaccia per l’ordine monetario, altri un alleato strategico per rafforzare il dollaro. È ancora il ribelle digitale che voleva cambiare le regole o ha ormai indossato l’abito della finanza tradizionale?
C’è stato un tempo in cui parlare di Bitcoin significava evocare ribellione, libertà e un’alternativa concreta al potere bancario. Era il 2009 e il mondo stava ancora leccandosi le ferite della crisi finanziaria globale. In quel clima di sfiducia verso le istituzioni nacque un’idea radicale: una valuta digitale, priva di autorità centrale, in grado di funzionare grazie a una rete distribuita. I primi sostenitori vedevano nella criptovaluta non solo uno strumento tecnico, ma un manifesto politico.

Con il passare degli anni, però, l’immagine di moneta ribelle ha cominciato a mutare. I grandi media hanno iniziato a parlarne, gli investitori istituzionali si sono affacciati al mercato e perfino le banche, inizialmente diffidenti, hanno cominciato a esplorarne le potenzialità. Oggi il Bitcoin è oggetto di attenzione non solo da parte di trader e appassionati, ma anche di governi e organismi internazionali. La sua ascesa è entrata in una nuova fase: quella della legittimazione.
Dalla sfida alle istituzioni all’adozione politica
Un segnale forte di questo cambiamento è arrivato nel marzo 2025, quando l’ex presidente Donald Trump ha annunciato la creazione di una riserva strategica nazionale in Bitcoin, costituita con criptovalute sequestrate dal Tesoro. Secondo fonti riportate da Wikipedia, gli Stati Uniti detengono attualmente oltre 200.000 BTC. Un gesto che va ben oltre la speculazione e che posiziona la criptovaluta all’interno di una strategia geopolitica.

Anche voci influenti come Anthony Scaramucci – ex direttore della comunicazione della Casa Bianca e attuale fondatore di SkyBridge Capital – sostengono che il Bitcoin non rappresenta un rischio per il dollaro, ma anzi può rafforzarne il dominio se adottato in modo controllato (The Australian, 2024). Insomma, la moneta nata per disintermediare sta diventando, paradossalmente, parte di un disegno di potere centralizzato.
L’abbraccio della finanza tradizionale
Parallelamente, anche il mondo della finanza ha aperto le porte al Bitcoin. Colossi come BlackRock hanno lanciato strumenti di investimento dedicati, tra cui l’ETF IBIT che ha raggiunto 57,5 miliardi di $ in asset a febbraio 2024 (CoinDesk). Nel Regno Unito, invece, è nata GFO-X, la prima piattaforma regolamentata per il trading di derivati su asset digitali, con il supporto di M&G e Standard Chartered.
Questo tipo di adozione istituzionale rappresenta una rivoluzione, ma non priva di contraddizioni. Il Bitcoin era nato per essere decentralizzato, incensurabile, libero. Ma cosa resta di quella promessa se oggi sono grandi fondi a custodirlo per conto degli investitori? Le normative KYC, le pressioni regolatorie e la concentrazione di ricchezza rischiano di allontanare l’ideale iniziale. E allora ci si chiede: chi guiderà davvero il futuro del Bitcoin? Gli utenti o le stesse istituzioni che voleva superare?