Il GENIUS Act si blocca al Senato USA tra tensioni bipartisan, interessi economici personali e criptovalute legate a Trump. Un voto atteso da mesi finisce per saltare all’ultimo minuto, lasciando la regolamentazione dei stablecoin ancora nel limbo normativo. Ma cosa c’è davvero dietro questo ennesimo rinvio?
Il tentativo di introdurre una cornice federale sui stablecoin negli Stati Uniti si è scontrato con ostacoli ben più profondi della sola burocrazia. Il disegno di legge bipartisan noto come GENIUS Act, che aveva ottenuto largo consenso in fase preliminare, è naufragato a sorpresa a causa di divisioni interne al Senato e di crescenti dubbi etici su presunti conflitti d’interesse legati all’ex presidente Donald Trump, alla sua famiglia e alla sua recente esposizione nel mondo crypto, tra investimenti esteri e lanci di token.

Il testo finale della legge non è stato condiviso in tempo utile per essere esaminato dai senatori democratici, e secondo quanto riportato da Reuters, il voto procedurale si è concluso con un nulla di fatto: 48 favorevoli e 49 contrari, ben lontani dai 60 voti necessari per superare l’ostruzionismo e portare il disegno di legge in aula per l’approvazione.
Il nodo etico: stablecoin, interessi privati e promesse in token
A rendere ancora più spinosa la situazione è stata la scoperta di legami diretti tra l’universo legislativo e quello finanziario. Donald Trump, attraverso la sua società World Liberty Financial, avrebbe promosso una stablecoin denominata USD1, sostenuta da investimenti esteri per un valore di circa 2 miliardi di $. Secondo TIME Magazine, la stablecoin sarebbe stata oggetto di trattative con entità degli Emirati Arabi Uniti, sollevando dubbi sull’imparzialità del quadro normativo proposto.

Non meno controverso è stato il lancio del meme token $TRUMP, distribuito a sostenitori e investitori con vantaggi promozionali come “cene private con Trump” riservate ai wallet più attivi. Una dinamica che ha acceso le proteste di molti senatori democratici, tra cui Elizabeth Warren, che ha chiesto pubblicamente maggiori regole di trasparenza, un divieto di possesso o promozione di asset digitali da parte di funzionari pubblici e il rafforzamento delle misure antiriciclaggio. Le sue dichiarazioni, riportate dal Senate Banking Committee, hanno evidenziato il rischio di “corruzione legalizzata” se non si fissano regole chiare su criptovalute e politica.
Un impianto normativo fragile e il futuro della regolamentazione crypto
Il GENIUS Act avrebbe introdotto standard federali per l’emissione e la gestione dei stablecoin, fino ad oggi disciplinati da normative statali disomogenee. Secondo Banking Dive, le proposte chiave prevedevano requisiti patrimoniali minimi, audit periodici e trasparenza nelle riserve a tutela dei consumatori. Tuttavia, la spinta regolatoria si è arenata su un terreno minato di sospetti e personalismi.
L’opposizione democratica ha richiesto modifiche urgenti al testo, tra cui la separazione tra banche e piattaforme tecnologiche nella creazione dei token, e garanzie esplicite sulla sicurezza nazionale. Anche senatori inizialmente favorevoli, come Mark Warner, hanno frenato sulla necessità di un confronto più ampio e strutturato, sottolineando l’importanza di consenso bipartisan reale prima di procedere.
Il fallimento del GENIUS Act rappresenta non solo un colpo per la credibilità del Congresso in materia di innovazione finanziaria, ma anche un segnale di quanto sia difficile normare un settore in rapida evoluzione come quello delle criptovalute, soprattutto quando a influenzarne l’architettura legislativa sono interessi privati di alto profilo. In attesa di una nuova proposta condivisa, la regolamentazione dei stablecoin rimane in sospeso.