Il tuo datore può spostarti anche se sei invalido? La risposta ti sorprenderà

Ti sei mai chiesto se un lavoratore invalido può essere trasferito contro la sua volontà? Potrebbe sembrare una questione secondaria, ma può cambiare la vita di chi si trova in questa situazione. La storia di Alfonso ci mostra quanto sia importante conoscere le proprie tutele legali, specialmente quando ci si sente soli davanti a scelte imposte dall’alto.

Le risposte non sempre sono scritte nero su bianco: a volte serve solo qualcuno che sappia interpretare la legge e tradurla nella realtà quotidiana.

Disabile mentre lavora
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Alfonso ha quasi cinquant’anni e lavora in un’azienda che ha più sedi. Da tempo convive con una patologia cronica che lo ha portato a ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile. Tutto sembrava andare avanti con equilibrio, finché il datore non gli ha comunicato il trasferimento in una sede distante quasi 80 chilometri da casa. Alfonso, spiazzato e confuso, ha deciso di rivolgersi a un patronato. Qui ha trovato un consulente preparato e disponibile, che ha chiarito ogni dubbio, partendo da un punto essenziale: invalidità civile e disabilità non sono la stessa cosa, anche se spesso vengono confuse.

Invalidità e disabilità: attenzione alle differenze

La invalidità civile misura la riduzione della capacità lavorativa in percentuali (dal 34% al 100%), ed è accertata da una commissione medico-legale dell’ASL, con la presenza dell’INPS. Più alta è la percentuale, più numerosi sono i benefici previsti. Parliamo di agevolazioni fiscali, accessi facilitati al mondo del lavoro, pensioni o esenzioni sanitarie. Tuttavia, avere un’invalidità civile, anche elevata, non conferisce automaticamente il diritto a rifiutare un trasferimento deciso dal datore.

Studio di un avvocato
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La disabilità, invece, viene riconosciuta a chi ha difficoltà di inserimento nella vita sociale o lavorativa, anche se la capacità lavorativa non è totalmente compromessa. Si parla di “disabilità grave” quando la condizione limita fortemente l’autonomia personale, ai sensi della legge 104. Solo in questi casi si può parlare di tutele specifiche, come il diritto al consenso prima di un eventuale spostamento lavorativo. La distinzione è sottile ma sostanziale, ed è proprio su questo punto che spesso si gioca tutto.

Quando il trasferimento non è legittimo

Il consulente ha mostrato ad Alfonso una sentenza della Cassazione (n. 25863/2022) che tutela il lavoratore caregiver, anche se non disabile grave, contro trasferimenti imposti. Tuttavia, Alfonso non rientrava in questa casistica. Nonostante ciò, la legge impone che ogni trasferimento, anche per un lavoratore senza disabilità, debba essere giustificato da comprovate esigenze tecniche, organizzative o produttive. È il datore a doverlo dimostrare, come stabilito dall’articolo 2103 del codice civile.

Nel caso di Alfonso, l’azienda non ha presentato motivazioni concrete. Nessuna chiusura di sede, nessuna necessità urgente. Solo una riorganizzazione vaga e poco documentata. Grazie all’assistenza ricevuta, Alfonso ha potuto contestare il trasferimento e bloccare la procedura. Ha compreso quanto sia fondamentale essere informati, e non restare in silenzio davanti a decisioni potenzialmente ingiuste. Il patronato non gli ha dato solo consigli, ma gli strumenti per difendere la propria dignità professionale.

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