Ti sei mai chiesto se davvero la Naspi sia “sicura”? Una dimenticanza, un errore o anche un semplice contratto non segnalato possono trasformare l’indennità di disoccupazione in un debito. L’Inps, infatti, ha il potere di chiederti indietro tutto o parte di ciò che ti ha versato. E spesso, accade quando non te lo aspetti. La questione non riguarda solo i furbetti: anche chi ha agito in buona fede può trovarsi nei guai.
Quando Marco ha perso il lavoro, si è sentito sollevato ricevendo la Naspi. Pensava fosse un sostegno sicuro, una sorta di paracadute. Nessuno gli aveva detto che avrebbe potuto ritrovarsi a doverla restituire.

Dopo qualche mese, ha accettato un lavoretto saltuario e non ha comunicato nulla all’Inps. Non per furbizia, ma per ignoranza. Poi è arrivata la lettera: richiesta di rimborso. Era confuso, arrabbiato, incredulo.
Questa storia è più comune di quanto si pensi. Molti beneficiari della Naspi non sanno che l’indennità va gestita con attenzione, altrimenti si rischia grosso. Dietro un apparente aiuto, si nasconde un meccanismo che richiede attenzione, trasparenza e aggiornamenti continui.
Quando la Naspi può diventare un debito
Ricevere la Naspi non è sempre definitivo. Ci sono situazioni in cui l’Inps può richiedere indietro i soldi. La prima, la più semplice, riguarda gli errori di calcolo. Magari hai diritto al sussidio, ma l’importo è stato calcolato male. Quando l’ente si accorge dell’errore, parte la richiesta di rimborso.

Un’altra casistica frequente è quella di chi trova un impiego durante il periodo in cui riceve la disoccupazione. Se il nuovo lavoro non viene comunicato subito all’Inps, l’assegno continua a essere versato, ma diventa automaticamente indebito. Anche un part-time può generare questo problema. Non conta quanto guadagni, ma se hai segnalato o meno il cambiamento.
Infine, ci sono i casi più gravi: chi presenta dichiarazioni false o omette volutamente informazioni per ottenere l’indennità rischia non solo di dover restituire tutto, ma anche di subire conseguenze legali. In quel caso, si passa dall’ambito amministrativo a quello giudiziario.
Come reagire se l’Inps chiede la restituzione
Quando l’Inps rileva un’indebita percezione della Naspi, invia una comunicazione ufficiale. Viene indicato l’importo da restituire e le modalità. Puoi scegliere se pagare subito, chiedere una rateizzazione o presentare ricorso. La dilazione non è automatica: devi dimostrare di non potercela fare a saldare tutto in una volta.
In alcuni casi, l’ente trattiene direttamente l’importo da rimborsare da altri sussidi o prestazioni future. Se non rientri nei pagamenti, può scattare il recupero forzato, fino al pignoramento.
C’è comunque la possibilità di difendersi. Hai 90 giorni dalla notifica per presentare un ricorso amministrativo. Puoi farlo da solo, con l’aiuto di un patronato o un avvocato. In certe situazioni, potresti anche far valere la prescrizione: l’Inps ha tempo dieci anni per chiedere il rimborso, ma se questo termine è scaduto (e non interrotto), la richiesta può decadere.
Se il ricorso viene respinto, puoi rivolgerti al tribunale. In sede giudiziaria puoi dimostrare che l’indennità era dovuta, o che l’errore era dell’Inps.
La Naspi, insomma, è un supporto fondamentale per chi perde il lavoro, ma non è priva di rischi. Sapere come funziona davvero è il primo passo per evitare brutte sorprese.