Lazarus avrebbe liquidato miliardi in cripto: 5 cose da sapere sul ruolo della Corea del Nord

Il gruppo Lazarus, legato alla Corea del Nord, ha venduto 4.600 BTC nel solo mese di aprile 2025, riducendo drasticamente le proprie riserve in Bitcoin. Con oltre 800 milioni di $ ancora in portafoglio, la strategia del regime nordcoreano solleva interrogativi globali: le criptovalute sono ormai strumenti di geopolitica, evasione sanzioni e potenziale finanziamento militare. Cosa significa tutto questo per la sicurezza economica internazionale?

È raro che le criptovalute vengano discusse nei summit internazionali sulla sicurezza, ma quando entra in gioco un attore come la Corea del Nord, le dinamiche cambiano. Il famigerato gruppo Lazarus, collegato al regime di Pyongyang, è da anni accusato di cyberattacchi mirati a piattaforme cripto per finanziare attività clandestine. E ora, secondo un’analisi pubblicata da CCN.com il 1° maggio 2025, il gruppo ha liquidato 4.600 BTC in aprile, lasciando nei propri wallet ancora 8.408 BTC, pari a circa 806,88 milioni di $.

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Lazarus avrebbe liquidato miliardi in cripto: 5 cose da sapere sul ruolo della Corea del Nord – crypto.it

Il dato colpisce non solo per l’entità dei fondi, ma per il tempismo: l’operazione arriva pochi mesi dopo uno degli attacchi hacker più gravi degli ultimi anni. A febbraio 2025, Lazarus ha violato l’exchange Bybit, trafugando 1,4 miliardi di $ in criptoattività, prevalentemente Ethereum, poi convertiti in Bitcoin. Con questa mossa, la Corea del Nord è diventata il terzo più grande detentore governativo di BTC, superando Bhutan, Ucraina e perfino El Salvador, come riportato da Fintech Weekly.

Criptovalute e sanzioni: una strategia parallela al sistema finanziario

Il gruppo Lazarus non è una realtà indipendente: secondo l’ONU e il Dipartimento del Tesoro USA, opera come braccio cyber del regime nordcoreano, svolgendo operazioni che vanno dal furto di criptovalute fino all’attacco a infrastrutture digitali critiche. L’uso di Bitcoin rappresenta per Pyongyang una scorciatoia rispetto al sistema bancario tradizionale, totalmente precluso dalle sanzioni internazionali. Le criptovalute, per la loro natura pseudo-anonima, permettono al regime di aggirare restrizioni finanziarie e monetizzare attacchi informatici senza passare da canali ufficiali.

Questo fenomeno è stato definito “crypto-statecraft” da diversi analisti. Secondo un report di Chainalysis, il gruppo Lazarus avrebbe accumulato oltre 3 miliardi di $ in criptovalute negli ultimi cinque anni. Tuttavia, è la rapidità con cui vengono convertite le crypto in valuta fiat a spaventare gli osservatori: la vendita di 4.600 BTC in un solo mese indica una strategia di liquidazione più che di accumulo.

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Criptovalute e sanzioni: una strategia parallela al sistema finanziario – crypto.it

Alcuni esperti ritengono che questi fondi possano essere utilizzati per finanziare il programma nucleare nordcoreano. La National Intelligence Service della Corea del Sud ha dichiarato più volte che Pyongyang destina una parte dei profitti cybercriminali proprio al sostegno dell’apparato militare. Ed è qui che la questione cibernetica si intreccia con gli equilibri geopolitici.

Il Bitcoin come risorsa statale: rischi di instabilità e controllo

La presenza di governi o attori statali nel mercato Bitcoin non è una novità, ma il caso della Corea del Nord rappresenta un’anomalia: qui, l’accumulo non deriva da investimenti istituzionali ma da attività illecite ad alta sofisticazione. Questo apre scenari pericolosi. Se un attore statale ostile può manovrare riserve da centinaia di milioni di $ in cripto, senza tracciabilità piena, il rischio di destabilizzazione è concreto.

Inoltre, la centralizzazione dei fondi in mani poco trasparenti può incidere sull’andamento del prezzo del Bitcoinstesso. Se Lazarus decidesse di vendere in massa, il mercato potrebbe subirne le conseguenze. Al momento, però, non ci sono segnali di panico, ma piuttosto di attenzione crescente da parte degli organi di intelligence globali.

Il fatto che un gruppo hacker statale riesca a posizionarsi tra i principali detentori mondiali di Bitcoin dovrebbe essere un campanello d’allarme. Il nodo centrale, oggi, non è tanto chi possiede cripto, ma come le ha ottenute e per quali fini vengono impiegate.

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