Negli anni, i buoni fruttiferi postali hanno rappresentato uno strumento di risparmio garantito, semplice e diffuso, soprattutto tra chi cercava stabilità e rendimenti certi.
Però, proprio la loro lunga durata ha generato controversie legate ai tassi di interesse, ai cambi normativi e alla coesistenza di serie diverse.
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, interviene su uno dei nodi più delicati, chiarendo il ruolo del decreto ministeriale, il valore delle indicazioni stampate sul titolo e i limiti del legittimo affidamento del risparmiatore. Il tema riguarda da vicino chi possiede o ha riscosso buoni emessi tra gli anni Ottanta e Novanta, ma offre indicazioni utili anche per comprendere come funziona oggi la disciplina del risparmio postale.
Con l’ordinanza n. 26256/2024, la Corte di Cassazione affronta il caso dei buoni fruttiferi postali della serie Q/P, emessi nel 1986 utilizzando moduli cartacei della precedente serie P, ma regolati dalla nuova serie Q. La questione nasce da una discordanza evidente, infatti, il timbro apposto dall’ente emittente aggiornava i rendimenti solo per i primi venti anni, lasciando visibile la tabella originaria della serie P per il periodo successivo, dal ventunesimo al trentesimo anno, con tassi più elevati.
Alla scadenza, il risparmiatore aveva richiesto il rimborso applicando proprio quei rendimenti più favorevoli, sostenendo che l’incompletezza del timbro avesse generato un affidamento legittimo. I giudici di merito avevano accolto questa impostazione, ma la Cassazione ribalta l’esito della controversia e dichiara che prevalgono sempre i tassi di interesse stabiliti dal decreto ministeriale di emissione, anche per i periodi non coperti dal timbro modificativo.
Inoltre, secondo i giudici, l’incompletezza materiale del timbro non basta a creare una tutela giuridicamente rilevante. La presenza della dicitura Q/P sulla parte anteriore del buono identificava in modo chiaro l’appartenenza del titolo alla nuova serie Q. Da questo elemento discende l’applicazione dell’intera disciplina prevista dal decreto ministeriale, inclusi i rendimenti dell’ultimo decennio.
La Cassazione considera irragionevole ritenere che il nuovo regime potesse valere solo per una parte della durata del buono. Anche se il timbro non indicava espressamente i tassi dal ventunesimo al trentesimo anno, il risparmiatore poteva comunque determinarli facendo riferimento alla normativa vigente. L’eventuale discordanza grafica o materiale sul titolo non modifica la volontà negoziale, che riguarda l’acquisto di un buono della serie Q e non il mantenimento, anche parziale, delle condizioni della serie P.
La decisione si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, rafforzato anche da precedenti delle Sezioni Unite, secondo cui la disciplina dei buoni fruttiferi postali risponde a un interesse generale di programmazione economica e di tutela del risparmio. Proprio per questo motivo, la legge prevale sempre sulle pattuizioni individuali e sulle indicazioni stampate sui singoli moduli.
Le nuove regole ISEE cambiano il perimetro della ricchezza da dichiarare e accendono il dibattito…
Il Ministero dell’Economia guarda al 2026 con una strategia chiara sul debito pubblico retail, dopo…
Dicembre più ricco per centinaia di migliaia di pensionati, con accrediti extra che arrivano direttamente…
Le Reti di consulenza, nel mese di ottobre 2025, registrano una raccolta netta tra le…
Dal 2026 il mondo delle criptovalute in Italia cambia volto. Wallet, exchange e transazioni finiranno…
TARI e IVA continuano a creare dubbi tra Comuni, gestori e contribuenti: una recente presa…