Oro e petrolio si trovano su traiettorie divergenti: uno trainato dalla domanda istituzionale, l’altro sotto pressione per l’eccesso di offerta. I prossimi mesi potrebbero rivelare dinamiche sorprendenti nei mercati delle materie prime.
Nel contesto globale attuale, l’intelligenza artificiale, la transizione energetica e le tensioni geopolitiche stanno influenzando profondamente le commodity. Tra queste, oro e petrolio continuano a rappresentare due indicatori fondamentali per gli analisti: il primo legato alla ricerca di beni rifugio in tempi incerti, il secondo all’andamento della domanda industriale globale. Secondo dati Reuters, MarketWatch e FT, le proiezioni sui prezzi per il periodo 2025–2026 mostrano una netta divergenza tra i due asset.
Il prezzo dell’oro viene spinto da acquisti istituzionali e da una persistente incertezza macroeconomica, mentre il petrolio Brent sembra destinato a una fase di consolidamento a causa dell’eccesso di produzione e della debolezza della domanda. I driver sottostanti sono molto diversi: banche centrali, ETF e stagflazione da una parte; offerta OPEC, scorte e transizione energetica dall’altra. Anche le variabili geopolitiche giocano un ruolo essenziale, ma con effetti profondamente diversi sulle due commodity.
Secondo Goldman Sachs, il prezzo dell’oro potrebbe raggiungere i 4 000 $ entro metà 2026, sostenuto da acquisti di lungo termine da parte di banche centrali e fondi sovrani. Una ricerca di Barron’s stima che ogni 100 tonnellate aggiuntive acquistate possano alzare il prezzo dell’1,7 %. Anche UBS prevede una crescita graduale, con target a 3 600 $ entro marzo 2026 e a 3 700 $ per la seconda metà dello stesso anno. Secondo un’indagine condotta da Reuters tra 40 analisti, la previsione media è di 3 400 $ nel 2026, con possibilità di picchi più elevati in caso di instabilità fiscale statunitense.
Per quanto riguarda il petrolio, le previsioni dell’EIA indicano un calo progressivo: da 67 $ nel terzo trimestre 2025 a una media di 51–59 $ nel 2026. L’IEA conferma uno scenario di surplus strutturale, con rischio di accumulo delle scorte. Altre fonti, come Capital.com, indicano un Brent medio di 66 $ nel 2025 e 59 $ nel 2026. Le analisi tecniche convergono su una fascia compresa tra 58 $ e 74 $ fino a fine 2026. Lo scenario per il greggio appare quindi più contenuto rispetto a quello del metallo prezioso.
Nel caso dell’oro, gli analisti di BullionVault rilevano che oltre il 30 % degli investitori considera i rischi geopolitici come il principale fattore di spinta dei prezzi. Le tensioni tra USA e Cina, i conflitti in Medio Oriente e la guerra in Ucraina alimentano la domanda di beni rifugio. Secondo il World Gold Council, condizioni economiche più instabili potrebbero portare l’oro a crescere del 10–15 % nella seconda metà del 2025. Al contrario, il petrolio risponde ai conflitti in modo più volatile e transitorio. Gli attacchi a infrastrutture russe avvenuti nell’agosto 2025 hanno fatto salire il Brent a 67,76 $, ma secondo l’European Central Bank l’impatto geopolitico ha effetto limitato: nei tre mesi successivi a uno shock, il Brent si riduce in media dell’1,2 %.
In aggiunta, la presenza di scorte elevate e le politiche fiscali – come la tassa straordinaria del 38 % nel Regno Unito – condizionano le dinamiche di mercato in modo strutturale. Il quadro complessivo evidenzia quindi che la geopolitica agisce come fattore di sostegno più duraturo per l’oro, mentre per il petrolio prevalgono le logiche di equilibrio tra offerta e domanda. Con previsioni così divergenti, analisti e osservatori continueranno a monitorare entrambi gli asset per interpretare i segnali della prossima fase economica globale.
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