L’oro chiude una settimana volatile in ribasso di quasi il 3%, spinto al ribasso da dati sull’inflazione USA più alti del previsto. Tuttavia, il metallo prezioso ha mostrato una forte resilienza, con il mercato che continua a scommettere su un imminente taglio dei tassi da parte della Federal Reserve.
È stata una settimana di braccio di ferro per il mercato dell’oro, che ha visto il suo prezzo oscillare in balia delle contrastanti notizie macroeconomiche provenienti dagli Stati Uniti. Se da un lato un’inflazione più persistente ha messo sotto pressione le quotazioni, dall’altro le aspettative su un allentamento della politica monetaria da parte della Federal Reserve hanno fornito un solido supporto, impedendo cali più profondi.
Questa dinamica ha creato un contesto complesso, dove i dati di breve termine si scontrano con una visione di lungo periodo che, secondo i principali analisti come quelli di J.P. Morgan, rimane estremamente costruttiva. La domanda di oro come bene rifugio e riserva di valore da parte delle banche centrali continua a essere un pilastro fondamentale del mercato, come evidenziato anche nei report del World Gold Council.
L’oro ha chiuso la settimana di contrattazioni con un prezzo di chiusura di circa 3.337 $ per oncia, registrando una perdita settimanale consolidata di quasi il 3,0%. Il catalizzatore principale del movimento ribassista è stato il dato sull’Indice dei Prezzi alla Produzione (PPI) statunitense, risultato superiore alle attese. La logica del mercato è stata immediata: un’inflazione più “calda” potrebbe indurre la Federal Reserve a essere meno aggressiva con i tagli dei tassi di interesse, uno scenario che tende a rafforzare il dollaro e a penalizzare l’oro, che non offre rendimento.
Questa notizia ha spinto le quotazioni fino a un minimo di due settimane, testando il cruciale supporto tecnico nell’area dei 3.330 $. Tuttavia, questo livello ha dimostrato una notevole tenuta, con i compratori che sono rapidamente intervenuti per difenderlo, segnalando una forte domanda sottostante.
La resilienza mostrata dall’oro sopra il supporto di 3.330 $ si spiega con le aspettative di medio termine del mercato. Nonostante i dati sul PPI, secondo il CME FedWatch Tool, gli operatori continuano a prezzare una probabilità superiore al 90% per un primo taglio dei tassi a settembre. Questa convinzione fa da argine a vendite più aggressive. A questo si aggiunge il supporto strutturale, evidenziato dal World Gold Council, proveniente dalle banche centrali, che continuano ad accumulare riserve auree per diversificare dal dollaro. Le prospettive degli analisti rimangono infatti molto positive. J.P. Morgan, in un suo recente report, ha confermato una visione estremamente rialzista, prevedendo che il prezzo possa raggiungere in media i 3.675 $ per oncia entro la fine del 2025, spinto proprio dagli acquisti istituzionali, stimati in 900 tonnellate. Gli esperti indicano ora una prima, forte resistenza a 3.400 $, la cui rottura potrebbe aprire la strada a nuovi rialzi.
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