Un tempo considerate garanti della decentralizzazione e dell’indipendenza, le foundation cripto stanno finendo nel mirino di investitori e sviluppatori. Secondo a16z crypto, uno dei venture capital più influenti del settore, queste entità non profit sarebbero diventate un freno, più che una risorsa. L’alternativa? Tornare a strutture aziendali consolidate, con strumenti già collaudati nella finanza tradizionale.
Le foundation sono nate per sostenere i protocolli decentralizzati in ambienti normativi incerti, ma oggi secondo molti operatori – incluso il colosso VC a16z crypto – sembrerebbero aver perso la loro funzione originaria. In un post pubblicato di recente sul blog ufficiale della società, Miles Jennings, general counsel di a16z, afferma che “l’era delle foundation è finita”. Secondo Jennings, queste entità sarebbero diventate uno degli ostacoli principali alla crescita del settore Web3, creando attriti interni, inefficienze e persino conflitti di interesse.
Il problema non sarebbe solo operativo, ma strutturale. Le foundation, per statuto, non possono agire come entità imprenditoriali, rendendo difficile allocare risorse, assumere personale o prendere decisioni strategiche in modo rapido. A tutto questo si aggiunge il tentativo, spesso artificiale, di separare i fondatori dai progetti per evitare complicazioni con la SEC, dando così vita a una forma di decentralizzazione “teatrale”, come l’ha definita Kyle Tut, CEO di Pinata, intervistato da The Defiant.
Il dibattito è acceso e tocca un tema cruciale: chi controlla davvero i protocolli decentralizzati? Secondo a16z, il modello attuale crea solo “workaround complicati” per nascondere ciò che in realtà è una governance accentrata. Per questo, Jennings propone di abbandonare l’approccio “efforts-based” – che misura la decentralizzazione in base agli sforzi per apparire tali – in favore di un modello “control-based”, più trasparente e realistico. In pratica, riconoscere che certe entità controllano il protocollo e regolamentarle di conseguenza.
Il quadro è aggravato dal fatto che le foundation non possono essere legalmente responsabili in caso di problemi, né hanno il mandato per generare profitto o valore sostenibile. Questo porta spesso a una gestione lenta, inefficiente, e priva di accountability. Secondo Martin de Rijke di Maple Finance, le aziende strutturate offrono molta più trasparenza e possibilità di crescita, senza dover sacrificare i principi base della decentralizzazione. Le parole di a16z non sono quindi un semplice sfogo, ma l’anticipazione di una vera e propria proposta alternativa.
L’alternativa suggerita è chiara: sostituire le foundation con forme societarie già esistenti come le developer company o le public benefit corporation. Queste strutture offrono maggiore flessibilità, permettono di raccogliere fondi, assumere team tecnici e prendere decisioni rapide. Non solo: hanno la possibilità di agire legalmente e offrire trasparenza a investitori e regolatori. Un elemento che, nel clima attuale, è più che mai decisivo per evitare frizioni normative e per attrarre capitali istituzionali.
Secondo Jennings, questa transizione non significherebbe abbandonare la decentralizzazione, ma realizzarla attraverso strumenti più coerenti con l’evoluzione del mercato. Le developer company possono costruire e gestire protocolli mantenendo la proprietà collettiva attraverso DAO o governance token, ma con una base legale solida e compatibile con le regole dei mercati tradizionali. In questo modo, si eliminano ambiguità, si migliora la trasparenza fiscale e si garantisce continuità allo sviluppo dei progetti.
Il messaggio di a16z è chiaro: se il Web3 vuole maturare, deve superare le sue stesse contraddizioni. Le foundation potrebbero non essere più lo strumento giusto. Al loro posto, servono modelli pragmatici, sostenibili e credibili. Il cambiamento è già in atto: la domanda è chi avrà il coraggio di guidarlo.
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