La Banca Centrale Europea ha tagliato i tassi d’interesse, ma il costo medio dei mutui per le famiglie potrebbe non scendere, anzi. Un paradosso apparente che nasconde dinamiche profonde e ancora poco comprese. Ecco perché, nonostante la politica monetaria espansiva, la stretta sui prestiti potrebbe continuare.
C’è un senso di sollievo diffuso ogni volta che la BCE annuncia un taglio dei tassi. Famiglie, imprese e mercati lo interpretano come un segnale di fiducia, di sostegno, di liquidità più abbondante e meno cara. Eppure, questa volta qualcosa sembra non tornare. Il costo medio dei mutui in Italia e nell’Eurozona non starebbe scendendo, e per certi versi potrebbe addirittura salire nei prossimi mesi. Una contraddizione che ha sorpreso molti osservatori, ma che trova spiegazioni chiare quando si analizzano i meccanismi reali che regolano i tassi applicati ai finanziamenti.
La Banca Centrale Europea ha tagliato il tasso sui depositi al 2,25%, portando al 2,40% il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali. Un intervento pensato per stimolare il credito, rallentare l’inflazione e sostenere la ripresa economica. Tuttavia, come segnalato da Facile.it e MutuiOnline.it, l’impatto diretto di questa manovra sui mutui è tutt’altro che immediato.
La chiave per comprendere questa dinamica sta in due indicatori fondamentali: l’Euribor e l’Eurirs. Il primo è utilizzato come riferimento per i mutui a tasso variabile, il secondo per quelli a tasso fisso. Sebbene l’Euribor stia mostrando una tendenza alla diminuzione, il vero nodo è l’Eurirs, che ha registrato un’inversione al rialzo già dal primo trimestre 2025, in particolare per le scadenze a 10 e 30 anni. Questo dato è confermato da Intesa Sanpaolo e dai modelli previsionali delle principali banche italiane.
Un altro fattore determinante riguarda le strategie delle banche. In un contesto economico ancora fragile, gli istituti di credito tendono a mantenere ampi margini di interesse, trasferendo solo in parte – e con ritardo – i benefici dei tagli ai clienti finali. Il tutto si traduce in una maggior prudenza nell’abbassare i tassi offerti sui nuovi mutui o nelle rinegoziazioni.
Secondo le elaborazioni di La Stampa Finanza, il mercato interbancario resta condizionato da attese su inflazione e politica monetaria futura, e ciò incide direttamente sul costo del denaro a lungo termine. Inoltre, l’aumento degli spread applicati dalle banche compensa il rischio percepito, rallentando ulteriormente il possibile calo delle rate mensili per i nuovi mutuatari.
Per le famiglie italiane, la situazione si presenta quindi più complessa del previsto. Chi ha già un mutuo a tasso variabile potrebbe vedere effetti positivi entro fine anno, ma in modo graduale. Chi invece valuta un mutuo a tasso fisso, oggi ancora largamente preferito, si trova di fronte a condizioni non troppo diverse da quelle del 2023. Alcune simulazioni indicano che, per un mutuo di 150.000 € a 25 anni, la differenza mensile rispetto ai picchi dei tassi è minima, inferiore a 15-20 €, segno che i vantaggi restano contenuti.
Le banche, dal canto loro, valutano il quadro con cautela. Come riportato da Il Sole 24 Ore, la stretta creditizia non è ancora alle spalle e molte famiglie non riescono ad accedere al finanziamento, a prescindere dal livello dei tassi. Gli indicatori di accessibilità (come rapporto rata/reddito) restano sotto pressione, soprattutto nelle grandi città.
Il paradosso è solo apparente: i tagli della BCE sono un primo passo, ma la discesa del costo reale dei mutui dipende da fattori ben più articolati, tra cui l’evoluzione dei tassi interbancari, le scelte strategiche delle banche e, non ultimo, la percezione del rischio macroeconomico. In altre parole, per chi aspetta mutui davvero più leggeri, la pazienza resta ancora una virtù indispensabile.
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