Ci sono regole che sembrano fatte apposta per complicare le cose. Una di queste riguarda i soldi depositati su un conto corrente cointestato. Anche se appartengono, di fatto, a qualcun altro, per l’Isee contano come se fossero propri. E questo può fare davvero la differenza.
Un dettaglio poco noto che può compromettere l’accesso a bonus, agevolazioni e servizi fondamentali. Chi ha mai pensato che aiutare un genitore potesse alzare l’indicatore della propria situazione economica?
Ci sono gesti che si fanno per amore, senza pensarci troppo. Cointestare un conto con un genitore anziano, ad esempio, può sembrare la soluzione più pratica per prelevare la pensione, pagare le bollette o affrontare spese quotidiane. Ma quando si chiede l’attestazione Isee, tutto cambia. Quelle somme, anche se non si toccano per fini personali, vengono considerate come parte della propria ricchezza.
Questa situazione non è affatto rara. Tante persone vivono in nuclei familiari separati dai propri genitori, ma continuano ad aiutarli nella gestione del denaro. E quando arriva il momento della certificazione Isee, si scopre che la metà dei soldi presenti sul conto in comune entra a far parte del calcolo. Anche se si vive da soli, con reddito minimo, magari faticando ad arrivare a fine mese.
Non si tratta di un errore del sistema, ma di una regola precisa, dettata dalla legge.
Nel caso di un conto corrente cointestato, la normativa prevede che la somma venga suddivisa equamente tra i titolari, a prescindere da chi abbia effettivamente versato i soldi. La logica è semplice: se un nome compare come intestatario, significa che ha la piena disponibilità del denaro.
Quindi, se due persone condividono un conto, ciascuna risulterà proprietaria del 50% del saldo e della giacenza media. Lo stesso vale se gli intestatari sono tre, con una divisione in parti da un terzo. Questa regola deriva direttamente dall’articolo 1298 del Codice Civile.
Il problema nasce quando la cointestazione è solo formale, fatta per necessità o per praticità, senza che vi sia una reale condivisione del denaro. Nonostante ciò, ai fini dell’Isee, questa distinzione non viene considerata. Anche eventuali prove, come documentazione bancaria o dichiarazioni, non hanno valore nel calcolo.
Il meccanismo dell’Isee è rigido. Tutto ciò che risulta intestato al richiedente, anche solo in parte, rientra nel calcolo del patrimonio mobiliare. Non si può “spiegare” che quei soldi non sono propri. Non si può chiedere una rettifica sulla base di un uso esclusivo a beneficio di un’altra persona.
A differenza di altri contesti legali, come le divisioni ereditarie o i pignoramenti, dove si possono portare prove sulla reale titolarità del denaro, l’Isee non concede margini di interpretazione. La regola è uguale per tutti e non fa distinzione tra casi personali, intenzioni o circostanze.
Forse sarebbe il caso di ripensare questo meccanismo, perché quando la burocrazia non distingue tra forma e sostanza, sono le situazioni più fragili a farne le spese.
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