Un numero crescente di economisti avverte che una recessione potrebbe colpire gli Stati Uniti nella seconda metà del 2025. Il rallentamento dell’economia alimenta dubbi anche nel mondo crypto: Bitcoin e le altcoin reggeranno l’urto o crolleranno insieme ai mercati tradizionali? Gli scenari sono più complessi di quanto sembri.
Quando si parla di recessione, la mente corre subito a borse in calo, licenziamenti e tagli ai consumi. Ma in un contesto sempre più interconnesso, gli effetti si estendono anche al mondo delle criptovalute, che da anni cercano di emanciparsi dalle dinamiche della finanza tradizionale. Il dibattito si accende: in caso di crisi, Bitcoin sarà un rifugio o seguirà il destino delle azioni? E le altcoin, più giovani e speculative, riusciranno a sopravvivere a un clima macroeconomico instabile?
Negli ultimi report pubblicati da Bloomberg, Morningstar e CoinDesk, le probabilità di una recessione tecnica negli Stati Uniti entro fine anno sono salite al 55%, spinte da segnali come l’inversione della curva dei rendimenti, il calo del PMI manifatturiero e una domanda interna in evidente rallentamento. La Fed, frenata da un’inflazione ancora elevata, potrebbe non avere margine per agire rapidamente con nuovi tagli dei tassi. E intanto, cresce l’attesa per capire come si comporteranno gli asset alternativi.
Negli ultimi anni si è fatta largo l’idea che Bitcoin possa svolgere il ruolo di “oro digitale”, un bene rifugio capace di difendere il capitale in contesti turbolenti. Ma la verità è che questa narrativa si concretizza solo in parte. Secondo CoinDesk, se la recessione sarà contenuta e i tassi inizieranno a scendere, BTC potrebbe attirare nuova domanda istituzionale, soprattutto grazie agli ETF e al suo profilo deflattivo. Tuttavia, in caso di shock improvvisi o crisi profonda, anche il prezzo di Bitcoin potrebbe subire correzioni importanti.
Molto più fragile la posizione delle altcoin, in particolare quelle a bassa capitalizzazione o senza un’utilità reale consolidata. Token ancora legati a logiche speculative o privi di flussi di cassa sostenibili rischiano di subire vendite massicce, soprattutto se i capitali più “deboli” cercheranno liquidità altrove. Secondo Morningstar, le piattaforme con infrastruttura solida e uso reale (come Chainlink, Arbitrum o Avalanche) potrebbero invece resistere meglio alla pressione.
In periodi di contrazione economica, gli investitori tendono a ridurre la propria esposizione agli asset volatili. Tuttavia, nel contesto crypto, il movimento potrebbe non essere uniforme. I progetti più maturi, regolamentati o integrati nei mercati finanziari tradizionali potrebbero persino beneficiarne. Si parla ad esempio di stablecoin legate a protocolli affidabili o di token che offrono rendimenti da staking, percepiti come strumenti di “cash flow digitale”.
Al contrario, le coin “meme” o altamente speculative rischiano di essere le prime vittime di un clima macro incerto. La differenza la faranno l’utilità reale, la governance e la trasparenza dei protocolli. In uno scenario recessivo, la sopravvivenza nel mondo crypto non sarà solo questione di prezzo, ma di sostanza. E per alcuni investitori, potrebbe rappresentare un nuovo inizio. Per altri, un brusco risveglio.
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